Cambiare cavallo in corsa è difficile, poiché si rischia di venire disarcionati. È un po' ciò che temono le imprese tedesche: finire a terra per mancanza di forniture da Russia, Ucraina e Bielorussia. Alternative poche, e non immediate. Rischi tanti, e ravvicinati. È la replica su scala industriale di quanto sta succedendo a livello politico, dove la riluttanza a estendere le sanzioni al gas russo si spiega con la conta dei danni che la messa al bando provocherebbe lungo la filiera produttiva. Con ricadute sociali drammatiche in un momento congiunturale già delicato. Riassume il problema il ricercatore dell'Ifo, Klaus Wohlrabe: «Le catene di approvvigionamento e i processi produttivi che sono stati provati e testati per anni spesso non possono essere riorganizzati dall'oggi al domani».
I numeri chiariscono ancor meglio il quadro: appena il 13,8% delle industrie legate a Mosca, Kiev e Minsk ritiene possibile sostituire le forniture completamente e in poco tempo, mentre per il 43,4% è solo parzialmente possibile. La stretta dipendenza dai tre Paesi dell'Europa orientale trova inoltre conferma nel circa 30% di imprese convinte che sia impossibile trovare alternative. I segnali che arrivano dal mondo imprenditoriale obbligano Berlino a muoversi con i piedi di piombo, anche a costo di creare una faglia all'interno dell'Ue proprio quando coesione e unità d'intenti dovrebbero essere la stella polare. La cautela è resa necessaria dal doppio binario su cui si trova la (ex) locomotiva d'Europa. Da un lato, la crescita post-Covid rischia di ridursi come un calzino uscito da un candeggio sbagliato. Il primo trimestre è andato un po' meglio rispetto al periodo ottobre-dicembre 2021 (+0,2% contro il precedente -0,3%), ma la Bundesbank ha già messo le mani avanti: in caso di inasprimento della guerra in Ucraina, della messa bando delle importazioni di energia dalla Russia e della domanda estera più debole, quest'anno il Pil potrebbe contrarsi di quasi il 2%. I contraccolpi al mercato del lavoro, dove il tasso di disoccupazione è rimasto in aprile fermo al 5%, sarebbero inevitabili.
Anche il secondo binario può far deragliare l'economia tedesca. L'inflazione ha infatti toccato il mese scorso il 7,5% ed è probabile che entro l'anno raggiunga l'8%, soprattutto se non rientreranno i rincari energetici. Molto dipenderà dall'efficacia delle prossime mosse della Bce. I mercati prezzano quattro rialzi dei tassi quest'anno da un quarto di punto ciascuno, ma per le banche tedesche questi inasprimenti non sarebbero indolori. Il Bafin, l'autorità federale per la supervisione del settore finanziario, sta esaminando quali istituti sarebbero particolarmente esposti in questo scenario.
La strada sembra però già tracciata: per la prima
volta dal 2014, il rendimento del Bund decennale ha superato ieri l'1%, provocando un allargamento dello spread con i Btp fino a 191,9 punti e un innalzamento del rendimento dei nostri titoli al 2,9%, ai massimi da tre anni.
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