Per fortuna se ne è andato Ferragosto festa dei fuori stanza e dei torno subito

Mario Cervi e il giorno del letargo. Dove più che l'Assunta si celebra l'Assenza

Per fortuna se ne è andato Ferragosto festa dei fuori stanza e dei torno subito

Per fortuna è passato. Il Ferragosto, s'intende, momento di letargo della vita italiana, torpida separazione tra due parti dell'anno, festa dell'Assunta ma anche e soprattutto festa dell'assenza. Tutti sono «fuori stanza», come si suol dire in linguaggio burocratico, durante la celebrazione del non lavoro. Ecco perché abbiamo premesso quel «per fortuna» alla constatazione che il giorno fatidico è ormai alle nostre spalle e che il paese, sia pure sbuffando, e con riluttante svogliatezza ricomincia a funzionare. Abbiamo il sospetto, quasi la certezza, che in questi giorni l'Italia in generale, e Roma in particolare, fossero esposte a ogni insidia perché lo Stato era «fuori stanza». Ufficialmente, beninteso, non si era mosso di un palmo. Gli impiegati pubblici che se ne vanno al bar per un cappuccino, e chi li ha visti li ha visti, hanno l'accortezza di lasciare in ufficio, in bella mostra, la giacca o, d'inverno, il cappello. Questo capo d'abbigliamento è il simbolo di una loro ideale e indefessa presenza. Allo stesso modo le etichette e i simulacri dell'autorità erano visibili e tangibili anche per Ferragosto, nei luoghi in cui il prestigio e la forza della legge si esprimono. Palazzi, sentinelle, stemmi, insegne sono rimasti saldamente al loro posto, a indicare che Io Stato era sempre lì, nella sua possanza. Ma dietro quei gusci cosa c'era, in concreto? Questa la domanda che ci siamo posta, temendo di dover riconoscere che quei gusci erano vuoti. Da fonte autorizzata venivano, intendiamoci, solo notizie rassicuranti. Qualcuno ha vegliato su di noi con premura insonne, anche nelle ore più propizie all'oblio vacanziero. Ha vegliato intanto il Papa, dal Vaticano - che abbia rimandato di proposito il trasferimento a Castelgandolfo? -, ma della sua protettrice vicinanza non possiamo tener conto: era, formalmente, oltre confine. Ha vegliato, come vuole la tradizione, il ministro dell'Interno Rognoni, affiancato dal capo della polizia Coronas: entrambi sono stati visti al Viminale. Nel comando dei carabinieri era rimasto - mentre si aspetta il passaggio delle consegne tra il comandante uscente Cappuzzo e il comandante subentrante Valditara - il capo di Stato maggiore De Sena. Anche se il presidente della Repubblica si trovava a Selva di Val Gardena, e Spadolini a Castiglioncello, e il più alto esponente delle forze armate generale Vittorio Santini in qualche suo rifugio fuori Roma, avremmo dovuto insomma sentirci tranquilli: tanto più che i potenti mezzi della tecnica moderna consentivano a ciascuno di questi personaggi lontani di tenersi al corrente delle novità. Ma tranquilli non eravamo perché Rognoni, per quanto capace, non è Batman, e da solo non basta a risolvere le emergenze. Ignoriamo se egli abbia o no tentato, dalla sua stanza dei bottoni, di prendere contatto con qualcuno dei gangli centrali o periferici del mostruoso ingranaggio amministrativo. Ci auguriamo abbia evitato la prova, nella convinzione che le sue chiamate telefoniche, i suoi ticchettanti appelli per telescrivente, magari i richiami a voce in lugubri corridoi ministeriali, sarebbero risuonati invano. Saremo smentiti: ma nessuno ce lo toglie di testa. E un episodio - ripreso dalla stampa romana - conferma questa ipotesi. La vigilia di Ferragosto un cittadino di toccante ingenuità volle rivolgersi agli uffici della Regione Lazio. La giornata era lavorativa a tutti gli effetti, ma un superstite usciere al quale l'innocente si rivolse lo gratificò di un sorriso di compatimento. Quindi, introdottolo attraverso un ingresso di servizio nel falansterio regionale (duemila dipendenti in organico, almeno un migliaio con obbligo di essere alla scrivania, anche tenendo conto delle vacanze) gli mostrò una serie di uffici e di piani al cui confronto il Sahara sarebbe sembrato una piazza affollata. L'unica anima viva che incontrò era un collaboratore della Regione non legato da contratto stabile. Non essendo tenuto a lavorare, lavorava. La Regione Lazio, potrete obiettare, non è un servizio essenziale. Lo sappiamo, è inessenzialissimo. Ma almeno come sintomo di lassismo, può una volta tanto essere utile. Ministeri, caserme, reggimenti, tutto in ordine, anche ieri, con i loro simboli e stemmi. Ma dietro la facciata, c'era qualcuno? Se un gruppo di golpisti - fossero essi guardacaccia scontenti o liceali bocciati avesse scelto il Ferragosto per agire, chi l'avrebbe fermato? Le feste favoriscono i colpi di Stato. L'arresto di Mussolini, il 25 luglio 1943 - con il paese in guerra e il partito fascista che si proclamava pronto a tutto fu più facile perché era domenica: e i tedeschi, a Roma, ne ebbero sentore in ritardo, intenti com'erano ad abbronzarsi sul lago di Bracciano o a Fregene. Rognoni avrebbe impartito disposizioni. A chi? Ci vuol tempo per racimolare uomini che sono al largo sul moscone. Ma nessuno ha attentato alla libertà, alle istituzioni democratiche, allo Stato. E così per fortuna è passato. Anche le sedi, segrete e clandestine, della eversione erano evidentemente vuote.

Forse un leader del partito armato ha tentato la mobilitazione di un commando: ma ha dovuto rinunciare essendosi sentito rispondere che alcuni dei suoi uomini organizzavano una temibile «colonna» sulla riviera romagnola, che altri seguivano un corso di addestramento sui monti Tatra in Cecoslovacchia o che qualche volonteroso stava perfino penetrando i segreti della degenerazione capitalista a bordo di una «barca» di miliardari. Niente da fare. Tutti in vacanza, lo Stato e l'antistato. Ma che non lo si dica in questi termini brutali. Erano tutti «fuori stanza».

17 agosto 1981

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