Le fortune della moneta che non crede negli Stati

Nessuno può dire come Trump si muoverà. Forse farà di bitcoin uno strumento al centro dei suoi progetti volti a rifare grande l'America; oppure si limiterà a non ostacolarne lo sviluppo

Le fortune della moneta che non crede negli Stati
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Dal suo varo, ormai 17 anni fa, bitcoin ha conosciuto uno sviluppo formidabile. Se agli inizi vi fu chi spese 10 mila bitcoin per avere due pizze, ogni sono necessari 100 mila dollari per avere una sola di queste monete. Nonostante una quotazione quanto mai volatile, la valuta ideata da Satoshi Nakamoto è cresciuta in modo sorprendente perché attorno a essa s'è creata una comunità di persone convinte della necessità di superare le banche centrali e soprattutto persuase da una moneta che non può essere inflazionata.

Finora le autorità politiche, monetarie e regolatorie americane hanno mostrato una netta ostilità verso l'universo delle criptovalute, anche se erano trattenute dal timore di tagliar fuori la prima economia globale dallo sviluppo delle tecnologie finanziarie. Ma adesso le prospettive sono mutate, dato che il gruppo dirigente costituitosi attorno a Donald Trump mostra un'attenzione particolare per bitcoin e in campagna elettorale molti candidati repubblicani si sono espresso nettamente a suo favore.

Lo stesso presidente sa che una parte rilevante del proprio elettorato ha investito in questa valuta, ma soprattutto pensa che le istituzioni americane non debbano avversarla: in quanto strumento fondamentale per tutelare il risparmio e la privacy.

Tutto ciò sta pure favorendo un ricambio della classe dirigente, dato che molti nuovi milionari (e questo sarà ancor più vero se la corsa non s'arresterà) dispongono di tale ricchezza soltanto perché dieci anni fa hanno dato più credito alle tesi di Ludwig von Mises che a quelle di John Maynard Keynes.

Per giunta, dinanzi a prospettive finanziarie assai incerte per i conti statunitensi (poiché il debito pubblico ha ormai dimensioni mostruose), vari esponenti vicini a Trump hanno suggerito di dotare il Tesoro statunitense di una riserva in bitcoin, tale da contrastare un possibile collasso dei conti pubblici, e analoghe proposte sono state formulate in rapporto agli stati federati.

Il cambio politico della Casa Bianca, per giunta, fa seguito a quanto già avvenuto in Salvador e in Argentina. Quello che quindi sta per delinearsi è un fronte politico-culturale che reputa urgente superare gli ordini monetari fondati sulle banche centrali, le quali hanno generato soprattutto inflazione e quindi problemi di ogni tipo. L'idea liberale di operare una de-nazionalizzazione della moneta, per usare la formula di Friedrich von Hayek, incontra oggi l'esigenza di sostenere quella parte della società che più è favorevole a liberalizzare l'intero sistema economico: a partire dalla moneta.

Nessuno può dire come Trump si muoverà.

Forse farà di bitcoin uno strumento al centro dei suoi progetti volti a rifare grande l'America; oppure si limiterà a non ostacolarne quello sviluppo che è sostenuto soprattutto dalla fiducia crescente che tale valuta, strutturalmente deflazionista, incontra nel pubblico. Sia quel che sia, la creatura di Nakamoto non ha più negli Stati Uniti un nemico e questo può solo favorirne il futuro.

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