Abbiamo speso fiato e articoli negli anni prima del 2001, a spiegare l'esistenza e la natura del terrorismo: era dura. Freedom fighter, «combattenti per la libertà» venivano chiamati i terroristi, e «compagni che sbagliano». Più avanti, specie dopo l'11 di settembre, la parola «terrorista» è stata infine sillabata, anche se è rimasto facile scrivere «tre israeliani e tre palestinesi morti» anche quando i secondi tre avevano assalito le loro tre vittime con mitra e coltelli. Ed è venuto il tempo dell'impronunciabile espressione «terrorismo islamico»: è difficilissima, in tutte le lingue. I terroristi sono diventati «lupi solitari», talvolta hanno problemi psicologici o sono «emarginati», a volte si sono casualmente «radicalizzati» così, come per un virus. L'Islam, secondo molti interventi, non è in sé responsabile, anche se non si dice più tanto che sia «una religione di pace»; ma è pericoloso, si ripete, solo nella sua interpretazione «radicale», «fondamentalista» o «politica», ciò che lo rende un rischio eventuale, ma non istituzionalizzato, anche perché «ogni religione» secondo gli innumerevoli avvocati difensori «ha i suoi fondamentalisti», i suoi terroristi.
Eppure è evidente a chiunque ne sappia un po' che l'Islam, anche se la parte aggressiva è propria delle punte crudeli, è inintegrabile perché è una civilizzazione: la religione ne è una parte, ma esso è una concezione della vita politica, sociale, familiare, non si può qui separare la Chiesa dallo Stato. Il dialogo non è in vista: la parte dei musulmani che non è d'accordo con la violenza, e certo è numerosa, non ha però la forza politica per contrapporsi all'intimidazione sempre più di massa, e l'Occidente è troppo timido per proteggerla. Bisogna chiudere con le illusioni dettate dall'ignoranza: la jihad non è affatto un concetto spirituale, per chi conosce il Corano è una lotta molto concreta per la redenzione messianica del mondo dagli infedeli; è un mito accertato la passata tolleranza del mondo islamico, i dhimmi cristiani ed ebrei sono sempre stati trattati come inferiori e peggio; per l'Islam il patto e la sincerità valgono solo se favoriscono i fedeli; i segnali di acquiescenza e di apertura vengono interpretati come un segnale di debolezza; le percentuali di fedeli che nei Paesi islamici esigono la sharia sono maggiori di quelli che vorrebbero un amichevole arrangiamento col mondo secolare; il wahabismo, l'Islam sunnita estremo, cresce ogni giorno, e il mondo sciita capeggiato dall'Iran avanza. La minaccia è grande anche perché i giovani di seconda generazione, con documenti in regola, sono in crescita, e le loro moschee si organizzano.
Per una situazione così complessa occorre una guerra di trincea e una di movimento; e ci vuole una classe dirigente decisa, forte, orgogliosa della lotta che sta combattendo per salvare i propri figli e la propria terra. Una classe dirigente non snob, ma realista. Che sia pronta a infliggere uno shock ai nemici, come sempre nella storia quando si vuole vincere. Solo con la forza si piegherà il terrorismo islamico.
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