Franceschini resta in attesa: ci pensi Matteo se è capace

Le mosse del ministro, capocorrente e potenziale premier. Ora teme il fuoco amico che già bruciò Letta

Franceschini resta in attesa: ci pensi Matteo se è capace

No, non si gioca qui la partita. Anzi, questo è un campo ormai minato di rancore, infiacchito di sconfitte, scivoloso d'odio. Inciampi nelle macerie del sogno che fu, in quest'Aleppo desolata che Assad ri-conquistatore lascia a secco, e di stucco, dopo un discorsetto sciatto e pieno di retorica. Quelli si aspettano politica e condivisione del futuro, Lui li strapazza, parla delle sue nonne e del campionato di play station coi figli. «Convocare centinaia di persone da tutta Italia per confezionare una scena del genere è una mortificazione della democrazia interna e della dignità del partito», commenta uno sconsolato Michele Emiliano. «Sono senza parole», dice Davide Zoggia.

Il significato che Matteo Renzi consegna ai suoi sta, appunto, in quel che si vede nella diretta streaming: non contate nulla, non siete capaci di farmi vincere, di voi non m'importa un fico, poi ci vediamo e facciamo i conti neh? Così è ridotto l'incrocio tra il maggior partito comunista dell'Occidente e la parte di Balena bianca che governò l'Italia per settant'anni, da don Dossetti a De Mita. Un comitato elettorale di Renzi, ed è palpabile lo sconcerto dell'unico (alla fine) iscritto a parlare: Walter Tocci, incredulo di fronte ai continui cambi d'orario che hanno soppresso il dibattito, al trattamento ricevuto dal Capo e dal cane da guardia Matteo Orfini, che cerca di rabbonire Tocci con argomenti odiosamente insostenibili. «Non so, che dobbiamo fare? Come vogliamo procedere?», continua a ripetere come inebetito quello che fu dirigente del Pci romano di prima linea. Non crede ai suoi occhi, ma è chiaro che la linea non si decide nel simulacro di Direzione, ed è inutile chiedere ai cortigiani che cosa dire al Quirinale.

Il che fare di Renzi si decide in due campi: uno totalmente irrazionale e inintelligibile, la sua volontà; l'altro legato alle convenienze e alle possibilità del reale: dunque Mattarella, le mosse degli altri, la partita personale che all'interno gioca Dario Franceschini, il silente ex segretario detentore del pacchetto di mischia necessario a Renzi per restare in sella. Franceschini non aspira affatto al partito e avrebbe grosse difficoltà a poter accettare dall'amico presidente Mattarella anche un incarico per il governo, in quanto lo esporrebbe al «fuoco amico». La natura immediatamente «politica» (troppo politica) di una sua discesa in campo aperto, seppure limitata da scopi ben precisi, confliggerebbe con gli interessi del premier dimissionario. Ne farebbe il nuovo San Sebastiano Letta che offre petto e spalle alle frecce del segretario (il quale, come volevasi dimostrare, si tiene ben salda la poltrona del Nazareno e gattoneggia con quella di Palazzo Chigi, aspettando di vedere quanto tempo potranno stare senza di lui). Terreno troppo scivoloso, dunque, quello poggiato sulla lealtà di Matteo, non proprio una delle migliori qualità del sospettoso Fiorentino. Al punto che alcuni della sua cerchia stretta già ieri tentavano di stanare l'ex ministro dei Beni culturali, immaginando un suo governo sostenuto da Forza Italia. Dario perciò si tiene buona e stretta la posizione cruciale che s'è costruito negli anni trascorsi a sostenere altri. Sa aspettare, e prima d'aprire ditta in proprio vuol vedere ridotte in cenere le ali dell'Icaro di Rignano. La sua linea è ferma al rinvio di Renzi alle Camere.

L'avvitamento della situazione su se stessa è opera del tourbillon messo in opera da Matteo apprendista stregone, a Matteo spetta districarla. Se sa e può. Poi, al momento debito, Gattone ferrarese saprà saltare sul topo.

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