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In fuga in 2,3 milioni. L'inviato del Pontefice: "Basta attacchi ai civili"

Il cardinale entra in Ucraina: "Il volto dei profughi è Cristo in croce. Stop alle bombe"

In fuga in 2,3 milioni. L'inviato del Pontefice: "Basta attacchi ai civili"

«I profughi sono il volto di Cristo sulla Croce». È «inaccettabile bombardare un ospedale pediatrico»: usa parole dure il cardinale Michael Czerny, gesuita, prefetto ad interim del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano integrale, l'unico dicastero che fa capo direttamente a Francesco. Lui è uno dei due inviati di Papa Bergoglio in Ucraina. Il porporato è giunto martedì al confine ungherese per abbracciare i profughi e per portare la solidarietà, la vicinanza, l'affetto di Francesco.

«Bisogna fermare questi attacchi ai civili», sottolinea il card. Czerny, raggiunto telefonicamente dal Giornale al confine ungherese. Mentre il numero dei profughi in fuga dalla guerra ucraina continua a salire sono oltre 2,3 milioni secondo le stime dell'Unhcr l'emissario del Pontefice incontra anche i leader religiosi e politici dell'Ungheria e dell'Ucraina. E ribadisce: «La via della diplomazia non va mai abbandonata, anche quando sembra non esserci più speranza».

Eminenza, come è la situazione al confine?

«In Ungheria mi colpisce la grande accoglienza grazie anche a una bella collaborazione fra settore pubblico, le chiese cristiane e le organizzazioni civili. C'è una risposta fortissima, qui al confine ho potuto incontrare tanti volontari, tanti profughi, sono ben organizzati e c'è una grande generosità. La gente è riconoscente, sia per l'accoglienza che trovano sia per i servizi messi a disposizione, gli aiuti e la solidarietà».

In questi giorni ha abbracciato tanta gente. C'è qualche incontro in particolare che l'ha colpita maggiormente?

«Ogni incontro ha la sua grazia, ma sono riuscito a passare il confine e ad entrare in Ucraina dove le chiese cattoliche e greco-cattoliche protestanti collaborano per aiutare i profughi che arrivano in condizioni molto difficili. Ci sono villaggi praticamente abbandonati, il clima è di guerra ovviamente, e questo colpisce. La parola non trasmette pienamente la realtà che si vive. Questo aspetto è orribile. È molto commovente vedere il coraggio, la speranza e la fede della gente che rimane nel proprio paese. Una cosa che mi ha colpito è che i sacerdoti, di tutte le confessioni, rimangono tra la loro gente. Anche i preti sposati restano con la famiglia e questa è una testimonianza importante per la popolazione nonostante il pericolo».

Quale messaggio intende portare?

«Sono rimasto colpito dal fatto che il messaggio che la gente aspetta è esattamente quello che il Papa ha voluto comunicare. Il dialogo fra lui e la gente è già cominciato e io arrivo per renderlo esplicito e farlo carne e ossa. Lui è vicino, prega e digiuna per la pace e invita tutto il popolo cristiano a farlo. Loro lo avvertono, è un dialogo molto profondo e commovente».

Eminenza dopo due giorni alla frontiera con l'Ungheria ha varcato il confine ucraino, giungendo a Beregove. Ha avuto paura?

«Provengo da un paese ex comunista (Czerny è nato a Brno, nella Repubblica ceca, e con la famiglia ha vissuto anche il dramma della guerra, ndr) e credo che tutta la mia vita sia toccata da questo aspetto. Non si può attraversare una terra senza paura, per lo meno la nostra famiglia vive da sempre questa esperienza. Ma devo dire che siamo stati trattati con grande rispetto e sono molto riconoscente di essere potuto entrare e visitare i profughi».

C'è ancora spazio per la diplomazia mentre si intensificano i bombardamenti?

«Sì, non si deve mai lasciare la strada della diplomazia.

Mai dire che è impossibile, bisogna sempre ricominciare. Abbiamo soltanto una casa comune, dobbiamo imparare a vivere insieme in questa casa e non come stranieri ma come fratelli e sorelle. La diplomazia è sempre la strada da perseguire».

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