Fuga di massa dal partito anche a Genova: trenta dirigenti passano con Calenda

Dicono addio anche la candidata più votata in città e un consigliere regionale. Ed Elly oggi è terrorizzata da ciò che si muove fra rosso-verdi e pacifisti di Santoro

Fuga di massa dal partito anche a Genova: trenta dirigenti passano con Calenda
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Al Nazareno fanno finta di niente e fischiettano, ma l'ultimo colpo messo a segno da Carlo Calenda, che si porta via 30 dirigenti dem della Liguria - tra cui la consigliera più votata a Genova Cristina Lodi e il consigliere regionale Pippo Rossetti - fa male.

Fa male all'ala riformista, che perde un pezzo pregiato e (da Guerini a Fassino, da Alfieri a Picierno) chiede una discussione interna sull'esodo dal partito, ma fa male anche al Pd in quanto tale: «Sono voti che se ne vanno, e in vista delle Europee non è un bel segnale», ammette un esponente della maggioranza schleiniana. É il traguardo che Calenda si prefigge, e che persegue con una certa spregiudicatezza, giocando un po' a fare l'alleato di opposizione di Elly - vedi battaglia comune, persino con i Cinque Stelle, sul salario minimo - e un po' il moderato pronto a riconoscere persino i meriti di Giorgia Meloni. «Se devo dire la verità - scherza spesso con i suoi - discuto di scelte politiche concrete molto ma molto più spesso con lei che con Elly», a sottolineare la scarsa propensione al dialogo della leader dem. Nella stessa Genova, i due attuali consiglieri comunali del Terzo Polo appoggiano il sindaco di centrodestra Bucci, mentre i nuovi arrivati dal Pd saranno all'opposizione.

Del resto, è il ragionamento del leader di Azione, per ora il blocco di centrodestra non presenta grosse incrinature elettorali in cui insinuarsi per «rubare» consensi (come invece punta a fare il suo ex alleato e ora arcinemico Matteo Renzi con Forza Italia). Mentre nel Pd, secondo Calenda, c'è un pezzo significativo di apparato e elettorato che ne ha le palle piene» della «deriva gruppettara» schleiniana e che può essere, sperano in Azione, sedotto di qui alle Europee. Perché Elly Schlein «fa quello per cui è stata eletta, tentando di recuperare voti a sinistra». Ma in questa operazione sta trasformando il Pd «in una grande Sel», dalla sigla del non memorabile partitino post-Pci di vendoliana memoria. Secondo il noto adagio del «pas d'ennemi à gauche» che tante devastazioni ha causato alla sinistra.

La tesi calendiana è confermata anche dalla minoranza riformista del Pd: «La vera ossessione di Elly - dice un parlamentare meridionale - non è tanto la competizione con M5s, ma quella coi rossoverdi». La segretaria Pd è terrorizzata dalle manovre del dinamico duo Fratoianni-Bonelli, che stanno tentando di mettere in piedi per le Europee una lista che faccia concorrenza ai dem (candidando personaggi alla Michele Santoro) sui tasti più dolenti per Elly. A cominciare dalla contestazione della Nato e della linea filo-ucraina e filo-occidentale fin qui tenuta dal Pd. Linea che la Schlein abbandonerebbe anche domani, se non fosse che la minoranza Pd è stata chiara: «Su questo la scissione sarebbe immediata».

Lo spauracchio Fratoianni è quello che ha spinto Elly non solo a cercare nomi di richiamo per quell'area alle Europee (ma incassando dei no, da Annunziata a Saviano) ma anche a fare mosse piuttosto inconsulte, come aderire a inesistenti referendum Cgil sul Jobs Act o sostenere che il cancelliere Scholz taglia le spese militari pro-Nato, quando le ha appena sostanziosamente aumentate. «Tutto questo movimentismo sinistrorso crea sofferenze profonde dentro un pezzo di Pd, che vede smentita la sua storia riformista e di governo, e noi lì dobbiamo puntare», dice Calenda.

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