Una Via delle Spezie pattuita tra India, Emirati, Arabia Saudita e forse addirittura Israele con destinazione Europa, destinata a rimpiazzare la Via della Seta cinese tanto cara ai cinquestelle di casa nostra. È questa la vera intesa storica prodotta a Nuova Delhi, una svolta «non solo commerciale» come ha sottolineato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, e certamente non il verboso documento finale esaltato come storico da un governo indiano interessato a far risaltare la leadership di Narendra Modi addirittura come una nuova stella nel firmamento politico mondiale.
Infatti, se nelle 40 pagine che portano le firme di tutti i rappresentanti dei Paesi abbondano i generici impegni su pace e prosperità, ma di fatto nulla sulla guerra russa all'Ucraina e nessun riferimento temporale per l'attuazione delle solite promesse di lotta ai cambiamenti climatici, il memorandum d'intesa per i due nuovi corridoi economici e infrastrutturali tra India, Medio Oriente ed Europa ha la concretezza di 600 miliardi di dollari stanziati. Denari destinati alla costruzione di porti e ferrovie che potranno far lievitare l'interscambio tra India ed Europa del 40% e offrire ai Paesi dell'Indo-Pacifico una nuova rotta commerciale che taglierà fuori una Cina minacciosa e inaffidabile.
Ad esempio, un container che oggi viaggia da Mumbai all'Europa attraverso il collo di bottiglia del canale di Suez potrà in futuro sbarcare a Dubai e proseguire per ferrovia fino al porto israeliano di Haifa attraversando Emirati, Arabia e Giordania -, risparmiando tempo e denaro. Ma c'è anche lo sviluppo delle telecomunicazioni tra i Paesi coinvolti (con nuovi cavi sottomarini) e quello della produzione e trasporto di «idrogeno verde» che aiuterebbe i produttori di petrolio mediorientali a imboccare una svolta storica. Tre osservazioni su questo progetto: anzitutto, c'è dietro il lavoro sotterraneo della Casa Bianca, che vuole rammendare lo strappo con Mohamed bin Salman e ridimensionare il suo avvicinamento, attraverso la Cina, all'Iran: Biden punta a normalizzare i rapporti tra sauditi e israeliani, completando il lavoro di Trump che aveva fatto siglare a Israele gli accordi di Abramo con Emirati e Bahrein; un caro prezzo lo pagherebbe l'Egitto (che oggi incassa i diritti di transito a Suez) e questo la dice lunga sulla reale capacità dei nuovi Brics di agire di comune accordo: qui India e Arabia vanno in una direzione, tagliando fuori Iran ed Egitto; infine bisognerà vedere come reagirà la Cina, vero bersaglio di questo progetto alternativo alla sua strategia globale non solo commerciale.
Pechino, che con il ritorno di Xi Jinping due anni fa al G20 in Indonesia era stata la protagonista della prima fase post-Covid, appare oggi in ombra. Sull'assenza di Xi a Nuova Delhi circolano almeno tre ipotesi: difficoltà interne, la volontà di togliere peso al G20 guidato dal rivale indiano e il desiderio di evitare un incontro personale con il presidente degli Stati Uniti. Biden, al contrario, può porsi come vincitore a questo G20: sia nel rapporto strategico con indiani e sauditi, sia nei confronti della Cina. Il presidente era raggiante mentre si faceva fotografare con Bin Salman e Modi e parlava di «accordo storico», ma sarebbe sbagliato pensare che India e Arabia siano «passati nel campo americano»: oggi è loro convenuto far oscillare il pendolo in quella direzione, domani chissà.
Quanto alla Cina, l'assente ha sempre torto e Biden ha ironizzato dicendo «sarebbe stato bello se Xi fosse intervenuto, ma il summit sta andando benone». Inoltre, è stato respinto il tentativo cinese di togliere dalla dichiarazione finale il rituale riferimento alla presidenza del prossimo G20 del 2026, che è a rotazione e spetterà agli Usa.
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