Oltre che da un cielo plumbeo e da una pioggia costante e a tratti battente che poco si abbina all'immaginario di spiagge celebri come Copacabana o Ipanema, la vigilia del G20 che si aprirà domani in Brasile è caratterizzata soprattutto dall'accelerazione impressa al dossier Ucraina da Olaf Scholz, primo leader di un grande Paese occidentale ad avere un contatto diretto con Vladimir Putin in quasi due anni. Mossa che, inevitabilmente, è stata letta come il tentativo del cancelliere tedesco di lanciare un segnale all'anima pacifista della Germania dopo la disastrosa perdita di consensi dell'Spd che ha portato alla crisi di governo e alle elezioni anticipate.
Così, non sembra un caso la scelta dei leader del G7 di adottare una dichiarazione a favore dell'Ucraina in vista del millesimo giorno dall'inizio della guerra di aggressione russa. Un'iniziativa sollecitata da Giorgia Meloni in qualità di presidente di turno del forum dei Sette grandi in cui si ribadisce «sostegno duraturo» a Kiev. I leader del G7 assicurano di voler continuare a «essere solidali nel contribuire alla sua lotta per la sovranità, la libertà, l'indipendenza e l'integrità territoriale». «La Russia - si legge nel documento - resta l'unico ostacolo a una pace giusta e duratura».
Una presa di posizione che - a differenza della telefonata tra Scholz e Putin - riscuote l'apprezzamento di Zelensky. «Sono profondamente grato a Meloni e a tutti i leader del G7 - dice - per la loro voce unita nel sostenerci». D'altra parte, la partita è sempre più concentrata sui rapporti di forza diplomatici e geopolitici, perché ormai l'ipotesi che nel 2025 Kiev e Mosca si possano sedere a un tavolo prende sempre più piede. Tanto che è lo stesso Zelensky a dire che l'Ucraina «deve fare di tutto per porre fine alla guerra l'anno prossimo con mezzi diplomatici». E il sostegno degli alleati occidentali è ancor più necessario dopo la vittoria di Donald Trump, anche se il leader ucraino è fiducioso che con la nuova amministrazione americana la guerra possa «finire più velocemente». Questo è «il loro obiettivo» e, dice Zelensky, «con il presidente eletto ho avuto un buon approccio».
Ovviamente, del conflitto tra Mosca e Kiev (come di quello in Medio Oriente) si parlerà anche al G20 di Rio de Janeiro. Come, inevitabilmente, sarà tema di confronto anche l'impasse a Bruxelles sulla nomina della prossima Commissione Ue. Molti dei protagonisti della partita (a partire da Ursula von der Leyen) sono infatti attesi al summit brasiliano. E già domani potrebbe tenersi un faccia a faccia tra Meloni (atterrata a Rio ieri sera) ed Emmanuel Macron, peraltro come già accaduto al Consiglio informale Ue di Budapest di qualche giorno fa. Dopo che la socialista spagnola Teresa Ribera avrà riferito al Parlamento di Madrid sull'alluvione di Valencia, infatti, si proverà a disinnescare il veto dei popolari spagnoli. Restano due le ipotesi in campo per dare il via libera ai sei vicepresidenti esecutivi (tra cui l'italiano Raffaele Fitto). La prima è un accordo complessivo per andare ai due terzi al primo scrutinio, il secondo è un'intesa all'interno della cosiddetta «maggioranza Ursula», tenendo quindi fuori Fitto e il commissario ungherese Olivér Várhelyi (ancora in bilico). In questo caso, mentre l'italiano passerebbe alla terza votazione (a maggioranza semplice dei presenti e scrutino segreto avrebbe 2-3 voti di margine), Ribera sarebbe a rischio. Mentre il vice presidente indicato da Macron, il francese Stéphane Séjourné, avrebbe bisogno di Ecr per raggiungere la soglia dei due terzi (come per altro già accaduto con i due commissari socialisti che sono passati). Insomma, l'ipotesi che Macron - ovviamente per blindare il suo candidato - possa spingere per un'intesa che coinvolga tutti e sei i vicepresidenti non è affatto campata in aria. Il presidente francese e Meloni ne hanno parlato a Budapest e torneranno a confrontarsi domani a Rio.
Se questa fosse la soluzione finale, i Socialisti potrebbero accontentarsi di una dichiarazione di von der Leyen (magari scritta) in cui si ribadisce che la maggioranza che guida l'Europa resta quella di luglio nonostante la vicepresidenza a Fitto. Una presa di posizione, per inciso, che a Ecr non dispiacerebbe affatto.
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