La visita insieme agli altri leader del G7 all'Hiroshima peace memorial park, lì dove 78 anni fa la storia è stata ad un passo dal prendere una direzione che l'avrebbe cambiata drasticamente. E poi una serie di bilaterali a margine di un summit che è tutto concentrato sul dossier Cina, con l'obiettivo di trovare un terreno comune tra i sette grandi Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti nei complicati rapporti (politici e soprattutto economici) con Pechino.
Nella prima giornata del G7 di Hiroshima, Giorgia Meloni incontra Rishi Sunak (con cui il rapporto è saldo e le convergenze sono forti), Olaf Scholz (con il quale sta provando a saldare un dialogo che parte da punti di vista a volte distanti) e il canadese Justin Trudeau. Ha pure una breve colloquio con Joe Biden, durante il quale assicurano fonti diplomatiche non si sarebbe affrontata la scottante questione della via della Seta. Anche se ormai viene dato per acquisito che, nei mesi a venire, l'Italia si chiamerà fuori dalla Bri, la Belt and road iniziative sottoscritta nel 2019 dal governo Conte.
Ma è soprattutto il faccia a faccia con Trudeau a non passare inosservato. Non tanto per i toni con cui il premier canadese ci tiene a sottolineare la sua «preoccupazione» per «alcune posizioni che l'Italia sta assumendo in merito ai diritti Lgbt», quanto per il modo. Trudeau, infatti, sceglie di aprire la questione nei primi minuti del bilaterale, quando sono ancora presenti le telecamere canadesi per quello che in gergo giornalistico viene definito il «giro di tavolo». Mettendo in campo un tema che non era stato affrontato dagli sherpa delle rispettive diplomazie che, come sempre accade in questi casi, avevano preparato l'incontro in ogni dettaglio. Insomma, un affondo a freddo. Con l'obiettivo di farlo diventare un caso pubblico. Cosa che non sarebbe successa se Trudeau avesse manifestato le sue «preoccupazioni» durante il bilaterale a porte chiuse che, riferiscono peraltro i rispettivi staff, è stato «cordiale e fattivo».
Così, finisce che il faccia a faccia tra i due diventa una sorta di caso. Perché Meloni non può che essere colta in contropiede da un incontro tra leader che proprio nella fase che sarebbe da dedicare ai convenevoli a favore di telecamera diventa una sorta di j'accuse. Sui diritti Lgbt, replica la premier, «l'Italia sta seguendo le decisioni dei tribunali e non si sta discostando dalle precedenti amministrazioni». Ma basta guardare le immagini che rimbalzano dai media canadesi per cogliere l'evidente espressione di disappunto e irritazione di Meloni. Non è un caso che, nelle ore successive, dall'entourage della presidente del Consiglio filtri una «profondo sorpresa» per le parole di Trudeau. Un affondo che qualcuno arriva a definire un «agguato».
D'altra parte, non c'è dubbio che il premier canadese abbia deciso di ignorare il felpato codice di comportamento della diplomazia e abbia scelto scientificamente di mettere pubblicamente in difficoltà Meloni. Peraltro su un tema sensibile, perché solo un mese fa l'Italia - insieme a Polonia e Ungheria - è stata formalmente criticata dal Parlamento europeo per «propaganda» e «retorica anti-diritti, antigender e anti-Lgbt».
Insomma, è evidente, come fanno notare fonti di Palazzo Chigi, che «non era questo il contesto» dove avanzare simili dubbi. Resta da capire il perché dell'affondo di Trudeau. Che non è certo uno sprovveduto e che si muove - praticamente su tutti i dossier - in piena sintonia con l'amministrazione Biden.
Di certo, c'è che se in politica estera - dalla centralità dell'Alleanza Atlantica fino al sostegno incondizionato all'Ucraina - Meloni si muove assolutamente d'intesa con Washington e gli altri partner occidentali, sul tema dei diritti Lgbt certamente le sensibilità sono molto diverse.
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