«Usciamo da questo governo perché Netanyahu è il vero ostacolo a una reale vittoria. Lasciamo il governo con il cuore pesante, ma con tutto il cuore». Con queste parole Benny Gantz, ministro israeliano senza portafoglio e leader del partito di Unità Nazionale ha annunciato ieri sera il suo addio al governo e al Gabinetto di Guerra in cui era entrato all'indomani delle stragi di Hamas del 7 ottobre. Ma più che un addio quello di Benny Gantz è un affondo. Nella ritirata di Gantz s'intravvede il tentativo di trasformare il premier in un ostaggio dell'estrema destra messianica guidata dal ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e da quello della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir.
In tutto questo l'obbiettivo politico è innescare una crisi che permetta di arrivare al voto entro l'autunno. Anche perché tutti i sondaggi danno Gantz e il suo partito grandi favoriti in un testa a testa con Bibì e il Likud. «La vera vittoria - ha detto il ministro - sarà convocare elezioni entro un anno dall'attacco di Hamas». Ci riuscirà? I numeri per ora dicono di no. Nonostante l'uscita dal governo degli otto deputati di Unità Nazionale l'esecutivo Netanyahu può ancora contare su 64 voti a fronte di 120 seggi della Knesset. La differenza la possono fare però Smotrich e Ben Gvir. Bloccando qualsiasi negoziato rischiano di trasformare Netanyahu in un «impresentabile» sia per l'opinione pubblica interna che quella internazionale.
Da questo punto di vista i primi segnali già si vedono. Ieri Ben Gvir ha approfittato del commiato di Gantz per chiedere un ruolo politico più importante facendo intendere di esser pronto a sostituirlo nel gabinetto di guerra. «Devo tornare ad essere una forza di punta come lo ero - ha detto - prima che Gantz entrasse nel governo». Benché Bibi si guardi bene dall'accontentarlo il vero problema è la sempre più evidente sovrapponibilità delle opinioni di Bibi e dell'estrema destra sul tema della guerra. Il premier ieri, non ci ha girato attorno. Sfruttando il consenso garantitogli dalla liberazione sabato dei quattro ostaggi ha ribadito che il suo principale obbiettivo resta la distruzione di Hamas e non certo i negoziati o i piani per Gaza all'indomani della guerra.
«Se abbasseremo la testa - ha spiegato - non avremo futuro». Parole estremamente chiare da cui si desume l'impossibilità di un'intesa con Hamas che preveda la fine completa delle ostilità. Parole in aperta contraddizione con quelle pronunciate ieri a Washington dal Consigliere per la sicurezza nazionale Jack Sullivan che dà per arrivato «il momento per un cessate il fuoco nella guerra a Gaza». Ma oggi torna in Israele il Segretario di Stato americano Antony Blinken e dunque la posizione nei confronti della Casa Bianca di un Netanyahu privo della copertura a sinistra offerta fin qui da Gantz rischia di non essere propriamente agevole. Tuttavia il premier sembra determinato a non arretrare né a livello nazionale né internazionale.
Non a caso ieri in attesa del commiato di Gantz si è liberato di un altro nemico, questa volta interno al Likud. Danny Danon il deputato che minacciava di contendergli la guida del partito, è stato spedito a fare l'ambasciatore all'Onu ovvero nell'istituzione internazionale meno ascoltata da Bibi e dai fedelissimi.
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