Il Garante boccia il niqab in classe: ostacola lo sviluppo

L'authority sull'infanzia contraria al velo. La Lega ha pronta una legge per vietarlo

Il Garante boccia il niqab in classe: ostacola lo sviluppo
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La vicenda è quella delle studentesse musulmane di Monfalcone (Gorizia) che prima di entrare in classe, ogni santo giorno, costringono gli insegnanti ad appartarsi con loro per una penosa operazione di «riconoscimento» rispetto alla mascheratura del niqab a cui sono costrette: questo per rispettare l'unica legge in vigore sull'argomento secondo la quale è vietato comparire appunto mascherati in un luogo pubblico.

Ora è intervenuta la neo Garante per l'infanzia e l'adolescenza, Marina Terragni, secondo la quale è lecito avere «molte preoccupazioni sulla libertà di queste ragazze e sulla loro effettiva integrazione nel contesto scolastico e sociale talune pratiche contravvengono ai più elementari diritti e ostacolano il pieno sviluppo della personalità». Da qui un invito al ministero dell'Istruzione a vigilare, e non sarà un caso che Giuseppe Valditara abbia risposto in serata: «Condivido il messaggio del Garante», ha detto, aggiungendo che «non si deve tuttavia caricare la scuola di responsabilità che non le competono: senza una legge che riveda la normativa vigente, non si può chiedere a dirigenti scolastici e docenti più di quanto ha fatto la preside della scuola».

In effetti non si può rimproverare nulla agli insegnanti: il 25 per cento dei residenti a Monfalcone è musulmano e le studentesse che indossano con velo sono tante: ma si parla di chador, di al amira o di shayla, tutta roba cui nessuno si oppone anche perché il viso rimane scoperto, mentre il niqab lascia scoperti solo gli occhi e prevede un vestito lungo e largo che oggigiorno rappresenta la copertura minima prevista dalla shari'a; l'alternativa sarebbe il terrificante burqa, sorta di opprimente prigione ambulante (di colore blu, se tipicamente afghano) che copre tutto il corpo e a sua volta annulla ogni percezione di forma corporea. Le docenti si sono trovate tra due fuochi: imporre il divieto avrebbe comportato il rischio che le quattro ragazze lasciassero la scuola (una quinta si è già trasferita) e da qui la scelta di lasciare che lo indossino dopo una celere identificazione dovuta per legge.

E qui si torna al caso politico, che per presenta dei paradossi. La norma, come detto, ci sarebbe già, ma l'interpretazione di legge l'ha superata: la n. 152 del 1975, che nasce come anti-terrorismo, viene definita inapplicabile proprio nei casi delle musulmane che abbiano «giustificato motivo». È questo giustificato motivo a fare la differenza: se un tizio che passeggi in centro città con un casco integrale ha il giustificato motivo di essere probabilmente un cretino, una donna musulmana che indossi il velo, volente o costretta che sia, i motivi religiosi o culturali ufficialmente li ha tutti. La giurisprudenza, più volte, ha sollecitato una precisa legge in materia: ma non si è mai fatta. Come mai? L'ex sindaca di Monfalcone, Anna Maria Cisint, oggi europarlamentare, aveva già preannunciato una legge regionale della Lega per vietare i veli integrali nei luoghi pubblici. Il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha appoggiato. Ora la grande novità è che il velo andrebbe tolto anche secondo il Pd: il niqab è «un ostacolo al processo di integrazione, perché si mette in discussione il ruolo della donna e, a scuola, il lavoro dei docenti», ha detto Diego Moretti, capogruppo in Friuli Venezia Giulia. Però, nel giugno 2009, dopo analoga proposta della parlamentare del Pdl Suad Sbar (sempre condivisa dalla Lega) l'opposizione parlò di intolleranza e di «diritti religiosi violati», o peggio presentò leggi demenziali alla commissione Affari costituzionali del Senato, sempre nel 2009 - che ammetteva il niqab e burka «a condizione che il volto sia riconoscibile», con ciò dimenticando che, nel caso, non sarebbero più stati niqab o burqa. L'altro paradosso è che anche la giustificazione «culturale» non vale molto: il Corano di queste coperture non parla, anzi, quando affronta l'argomento (al verso 59 della sura XXXIII) dice che le donne devono essere riconosciute.

Nel tempo, tuttavia, burqa e niqab si diffusero a partire dall'Afghanistan e oggi compaiono in Iran, in parte della fu Palestina, del Libano, della Georgia, dello Yemen, dell'Arabia Saudita - nell'entroterra meno acculturato - e in generale dove ci sono musulmani sciiti.

In pratica burqa e niqab sono una sorta di macchina del tempo puntata sul Medioevo ma che ora si pretende di importare anche in Occidente, simbolo appariscente di più nascoste segregazioni femminili.

È forse l'aspetto più allucinante di una separatezza culturale che è solo il travestimento di una separatezza delle regole.

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