
La Lega Araba lancia la sua controproposta al piano post-bellico di Donald Trump per Gaza, proprio mentre Hamas e Israele continuano a scontrarsi sul proseguimento della tregua. Alla prospettiva della «Riviera del Medioriente» pensata dal presidente americano, con spostamento dei palestinesi verso Paesi terzi, i leader arabi riuniti nel vertice straordinario al Cairo contrappongono un progetto di ricostruzione «senza deportazioni forzate» dei civili della Striscia, «affinché il popolo palestinese possa ricostruire il proprio Stato e rimanere sulla propria terra», ha spiegato il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi.
Il piano dei 22 Paesi presenti al summit prevede due fasi, spalmate su quattro anni e mezzo, per un investimento totale di 53 miliardi di dollari. La prima fase, della durata di due anni, avrebbe un costo di 20 miliardi. La seconda, di due anni e mezzo, poco più di 30 miliardi. In sette aree sarebbero forniti alloggi temporanei per 1,5 milioni di palestinesi, con la garanzia che venga evitata l'uscita dei civili, che molti Paesi arabi hanno definito «una pulizia etnica».
Il via al piano lo darebbe un cessate il fuoco temporaneo, durante il quale verrebbe istituito un comitato temporaneo per la gestione dell'enclave per sei mesi e comincerebbero i negoziati diretti tra Israele e palestinesi, in vista di una soluzione a due Stati, che Gerusalemme rigetta. Al Sisi si dice convinto che «il presidente Trump sia in grado di mettere fine alle ostilità nella regione» e che il modello sia la pace tra Israele ed Egitto, ma che la condizione sine qua non sia la soluzione a due Stati.
Egitto e Giordania fornirebbero addestramento alla polizia palestinese in vista del dispiegamento nella Striscia, ma il progetto paventa la possibilità che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite valuti l'invio di forze internazionali. L'Onu annuncia pieno sostegno al piano. Il comitato che opererebbe infine a Gaza sarebbe composto da personalità indipendenti, che opererebbero sotto l'autorità dell'Anp, tanto chr Abu Mazen si dice pronto a tenere elezioni entro un anno. L'impegno principale consisterebbe nel raccogliere sostegno e denaro per la ricostruzione e un fondo fiduciario supervisionato a livello mondiale.
Scenari che al momento sembrano lontani, mentre Hamas e Israele litigano sull'allungamento della tregua e i media riferiscono di un possibile ritorno alla guerra tra dieci giorni, se non si troverà l'intesa. Israele chiede la totale smilitarizzazione di Gaza, l'uscita di Hamas e Jihad islamica, oltre al ritorno degli ostaggi. Gli integralisti palestinesi ritengono la smilitarizzazione «una linea rossa» ed esortano la Lega Araba perché impedisca l'espulsione dei palestinesi.
In Israele, intanto, emergono nuovi inquietanti dettagli sugli errori commessi durante il pogrom del 7 ottobre, diffusi grazie all'inchiesta delle Forze Armate israeliane, che hanno analizzato i 40 episodi di attacco di Hamas, quando circa 5.600 terroristi hanno fatto irruzione oltre il confine di Gaza, massacrando circa 1.200 persone e prendendo 251 ostaggi. La battaglia alla base di Nahal Oz, la struttura più colpita, viene considerata «uno dei più grandi fallimenti dell'esercito». Il sito, dove erano schierati 162 soldati (90 armati) non era infatti protetto e l'esercito ci ha messo 7 ore per arrivare.
Un'altra indagine dello Shin Bet punta il dito contro il
Qatar. Secondo i servizi segreti interni, Il trasferimento di fondi dal Qatar all'ala militare di Hamas è stato tra i principali fattori che hanno consentito al gruppo terroristico di realizzare la mattanza del 7 ottobre.
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