Gentiloni parla all'aula vuota I deputati snobbano la Libia

Per l'informativa del ministro degli Esteri sulla crisi a Tripoli presente a Montecitorio solo un centinaio di onorevoli. «Urge un cambio di passo, la situazione si sta aggravando»

Gentiloni parla all'aula vuota I deputati snobbano la Libia

RomaForse erano bloccati sul raccordo anulare, dal traffico, come si celia dei miliziani dell'Isis da quando sono «a Sud di Roma». O forse l'Italietta che conta poco e non riesce a mobilitare l'Onu comincia da qui, dalla mancanza di interesse dei suoi rappresentanti anche in caso di guerra nel cortile di casa. O, magari, il premier Matteo Renzi aveva già anticipato tutto in un agile tweet .

Fatto sta che per ascoltare l' «informativa urgente» sul dramma di Libia da parte del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, l'aula di Montecitorio era più che mai grigia e assai sorda. Soprattutto per mancanza di orecchie: risultavano presenti un centinaio di deputati, nel corso dei minuti pare che si sia arrivati persino a duecento, sui 630 mantenuti a spese dello Stato. Vero è che le parole del ministro non siano state appassionanti, e neppure molto nuove, nonostante la telefonata avuta l'altra sera con il segretario di Stato Usa, John Kerry. Denotano comunque una sfumatura che continua a essere cangiante a seconda dei momenti e degli oratori. Questione di tempi: Gentiloni era stato tra i primi a evocare l'intervento armato, quindi Renzi aveva corretto il tiro perché «non è il momento dell'intervento», invece ieri il ministro ha chiarito che «il tempo non è infinito, sta per scadere». Urge «il cambio di passo, la situazione si sta aggravando» e il governo «è impegnato a tutti i livelli per promuovere una presa di coscienza dell'Onu affinché raddoppi gli sforzi». Occorre fare presto, prestissimo perché «è evidente il rischio di saldatura tra gruppi locali e Isis» e bisogna darsi da fare prima che «degeneri del tutto, pregiudicando i fragili risultati raggiunti».

Insomma siamo al peso delle virgole, e con i minuti contati. Ma ancora nel campo degli appelli ai Grandi, ché senza l'ombrello Onu non ci si muove. «Non vogliamo avventure tantomento crociate», ha ribadito Gentiloni pure in Senato (dove è intervenuto per la prima volta l'ex presidente Napolitano). La soluzione alla crisi della Libia «sarà politica», consentendo un mandato più ampio alla missione Unsmil già presente affinché «acceleri la formazione di un governo di unità nazionale». L'Italia «è pronta ad assumersi responsabilità di primo piano»: compiti di peacekeeping , addestramento militare dell'esercito regolare, cooperazione per la ricostruzione. Le origini della crisi, ha continuato il titolare della Farnesina, vanno ricercate «negli errori compiuti anche dalla comunità internazionale nella fase successiva alla caduta del vecchio regime». Errori di disinteresse che hanno creato un «vuoto istituzionale» causa, tra l'altro, dell'attuale esodo in massa. Dati alla mano, il ministro ha affermato che l'aumento degli sbarchi del 59% rispetto al 2014 (5.302 persone contro 3.338 dal 1° gennaio a metà febbraio) dimostra che «non era dunque Mare nostrum ad attirare i migranti, bensì il dramma delle aree di crisi su cui speculano bande criminali assai agguerrite». Fenomeno rispetto al quale «non possiamo voltarci dall'altra parte, non sarebbe degno dell'umanità e della civiltà che ha fatto grande l'Italia».

Parole ribadite nel frattempo dalla ministro della Difesa, Roberta Pinotti, in un'intervista online , specie riguardo la necessità di rafforzare Triton e di chiedere (come Gentiloni ha fatto per lettera) alla «superpotenza Ue di spendere ben più dei 50 milioni che oggi vengono

stanziati per fronteggiare una simile emergenza». Parole che non soddisfano Cinque stelle («La Libia sarà il nostro Vietnam»), né la Lega, che continua a chiedere un «blocco navale contro l'invasione». Ma, soprattutto, parole.

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