La Germania ci insulta. Ma si tiene i migranti

Tribunale tedesco ci accusa di "trattamenti inumani". E non ci rimanda i clandestini

La Germania ci insulta. Ma si tiene i migranti

C'è un giudice a Münster? Sì, per la sentenza di ieri del tribunale amministrativo tedesco nel Nord Reno-Westfalia che vieta il ritorno in Italia di due migranti, che avevano chiesto asilo da noi per poi spostarsi in Germania. No, per le motivazioni che ci dipingono come un paese del quarto mondo che tratta i migranti in maniera «inumana e degradante».

Il bicchiere mezzo pieno è che la sentenza, di fatto, suona come una clamorosa sconfessione del trattato di Dublino, che prevede il ricollocamento nel paese di primo approdo dei migranti in giro per l'Unione europea. L'Italia è sempre rimasta fregata da questa regola, che va cambiata come l'intero trattato.

I due migranti sono un somalo che aveva ottenuto l'asilo in Italia, ma ha preferito andarsene in Germania perché da noi non aveva più diritto al sostentamento da parte dello Stato. L'altro, proveniente dal Mali aveva presentato richiesta di protezione, come fanno tutti appena sbarcati in Italia. Ed è proseguito per la Germania attratto da aiuti maggiori. Ovviamente entrambi sono arrivati clandestinamente via mare dalla Libia.

Per questo motivo, essendo l'Italia il paese di prima approdo e dove hanno chiesto asilo, la Germania, come Francia, Austria e altri paesi europei voleva rimandarceli indietro. Nel 2019, prima della pandemia, i cosiddetti dublinanti che i tedeschi ci hanno riportato sono stati 2.692. Nel 2020, a causa del virus, sono crollati a 509 nei primi mesi dell'anno. Poi il governo ha bloccato i trasferimenti, ma da giugno Berlino sta ricominciando a spedirci migranti. In molti casi si tratta di dublinanti che si sono rifatti una vita in Germania trovando moglie o un lavoro. E a proposito di trattamenti «inumani e degradanti» è capitato che la polizia tedesca oltre ad ammanettarli sedava chi non voleva farsi deportare trattandolo non proprio con i guanti.

L'Alta Corte amministrativa di Münster ha dato ragione ai migranti sostenendo che in Italia «c'è un serio rischio che non riescano a soddisfare i bisogni elementari come vitto e alloggio per molto tempo». L'ufficio federale tedesco aveva respinto la loro richiesta di asilo ordinando di rimandarli in Italia. Le impronte digitali erano nella banca dati Eurodac e dimostravano l'approdo nel nostro paese con tanto di richieste di asilo. Secondo i giudici tedeschi, il somalo e il maliano, se tornassero da noi correrebbero, addirittura, il «serio rischio» di subire un trattamento «inumano» e «degradante». I ricorrenti hanno fatto presente che in Italia non avrebbero più diritto ad un alloggio individuale, nè all'accoglienza in un centro. Questo significa, secondo la corte tedesca, che potrebbero trovarsi «indipendentemente dalla loro volontà e dalle loro decisioni individuali in una situazione di estremo bisogno materiale». In pratica non avrebbero né «il sostentamento necessario», né una sistemazione «dignitosa», che nei limiti del sistema di accoglienza hanno già avuto prima di decidere di spostarsi in Germania.

La sentenza non ammette revisione, ma ai due migranti non è stato riconosciuto automaticamente il diritto di asilo in Germania, che potranno ulteriormente chiedere appellandosi al tribunale di Lipsia. Però non possono essere rimandati in Italia. Il meccanismo di Dublino, che prevede i ricollocamenti, si è inceppato e non si tratta del primo caso.

In gennaio altri tribunali tedeschi avevano bloccato respingimenti di migranti verso la Grecia con motivazioni analoghe. Se rimandati ad Atene, come da noi, sarebbero diventati dei senzatetto a rischio fame. Meglio che la Germania se li tenga tutti.

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