A Gerusalemme è guerra aperta: 8 i morti Adesso Abu Mazen si schiera con Hamas

I palestinesi si ricompattano per la moschea di Al Aqsa: lo scontro s'incendia

A Gerusalemme è guerra aperta: 8 i morti Adesso Abu Mazen si schiera con Hamas

Gerusalemme Una casa del villaggio di Halamish non lontano da Ramallah e da Gerusalemme, completamente inondata di sangue. Il pavimento della cucina così rosso che non si distingue il colore del pavimento; quattro corpi crivellati di colpi di coltello, come se una tigre avesse compiuto la sua caccia: sono tre persone della stessa famiglia, il padre intorno a 60 anni, un uomo e una donna, suoi figli, sui 40.

La madre agonizza ma verrà salvata dai soccorsi, e ancora mentre scriviamo, all'ospedale di Sharei Tzedek non sa del destino dei suoi cari. Erano una decina di persone a tavola, per la santa cena di Shabbat. Ma niente può essere santo di quello che riguarda gli ebrei quando ad attaccare sono terroristi islamici. Una delle figlie è riuscita a rifugiarsi in una stanza delle casa con i bambini, da là ha chiamato aiuto al telefono e ha urlato dalle finestre: «C'è un terrorista in casa». Un giovane militare in licenza è corso sul luogo e dalla finestra è riuscito con la sua arma a ferire il terrorista, Omar Abed di 19 anni del villaggio vicino di Kaubar. È stato ferito e portato all'ospedale e alla polizia.

Alle domande ha risposto ripetendo quello che aveva scritto nel suo messaggio di addio: «Difendo la Moschea di Al Aqsa, l'onore musulmano. Ho solo un coltello con cui rispondere alla chiamata... avete cominciato una guerra con noi per cui Allah vi giudicherà. Spero che dopo di me verranno uomini che vi abbatteranno con pugno di ferro. Avevo speranze e progetti, ma adesso per difendere Al Aqsa vado e non tornerò». Invece è andato, ha ucciso come una bestia, es è tornato. I suoi precedenti dimostrano che deve avere preparato bene l'attacco: tre mesi fa lo fermarono le forze di polizia di Abu Mazen.

E ieri sera altri due giovani palestinesi hanno perso la vita negli scontri che non si placano in tutta la zona. Il primo è il 17enne Oday Nawajaa, colpito a morte da proiettili a Al-Azariya vicino a Gerusalemme. Il secondo è un 18enne deceduto nel sobborgo di Abu Dis, ucciso dalla bomba molotov che è esplosa prima di poterla lanciare verso gli israeliani.

Tutta la vicenda di questi ultimi giorni a partire dall'attacco del 14 luglio che ha freddato due giovani guardie israeliane, oggi ha a che fare soprattutto con l'invenzione propagandistica che è di fatto l'unica in grado di mantenere in vita l'idea che esista una lotta in cui i palestinesi sostengono un ruolo importante per il mondo arabo, per altri versi stanco e poco convinto della guerra di Arafat e di Abu Mazen, che sa dire solo no e inghiottire enormi incontrollate somme di denaro. Sempre di più il punto più importante è stato quello religioso islamista, la continua ripetizione dello slogan che la Moschea di Al Aqsa è in pericolo: anche adesso dopo che gli attentatori del 14 luglio erano usciti dalla Moschea stessa impugnando le armi automatiche, la decisione israeliana controversa e sofferta quanto logica di mettere metal detector davanti alla Spianata e di bloccare l'entrata venerdì scorso ai minori di 50 anni, è stata descritta come un attacco alla religione musulmana.

Adesso in Israele la discussione come sempre arde: si accusa il primo ministro di avere affidato la decisione alla polizia. Netanyahu ha ripetuto che si tratta di una scelta momentanea destinata a non toccare lo status quo, e quindi a ripristinare presto l'ingresso senza controllo.

Ma il boccone era troppo ghiotto per Hamas e per tutti i politicanti e gli islamisti fanatici: così dopo la prima condanna Abu Mazen è saltato di nuovo sull'autobus affollato (anche da Erdogan, e dal parlamento giordano) della chiamata allo scontro e ha persino annunciato contro il suo interesse di interrompere ogni rapporto con Israele. Lo scontro non cesserà con la destrutturazione dei metal detector, ma solo con quella dell'incitamento. Che non è in vista.

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