Il Gheddafi segreto e l'aiuto invocato per evitare i raid

L'ultima intervista del Colonnello ai media, rilasciata al nostro Giornale: "Choccato dai leader europei"

Il Gheddafi segreto e l'aiuto invocato per evitare i raid
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Quando al colonnello Gheddafi arriva la domanda inevitabile del Giornale su Silvio Berlusconi, nel 2011 presidente del Consiglio alla vigilia dei bombardamenti Nato in Libia, si mette la mano sul cuore e chiude gli occhi scuotendo la testa. Sul primo momento bofonchia «è un amico, un amico» e ancora più sottovoce sibila «colpa degli americani». Poi si ricompone e concede la riposta ufficiale: «Sono realmente choccato dall'atteggiamento dei miei amici europei», primo fra tutti Berlusconi, che mette in pericolo gli interessi strategici in Libia. Poi aggiunge «mi sento tradito. Non so che dire a Berlusconi», ma in realtà per il leader libico il presidente del Consiglio italiano è l'ultima sponda che gli rimane nella speranza di evitare i bombardamenti della Nato. Gheddafi ammette «la possibilità che il ministero degli Esteri libico e altre autorità siano in contatto con gli italiani». I suoi collaboratori mi confidano che il colonnello spera in una missione di Berlusconi a Tripoli per tirare fuori dall'immancabile cappello magico una soluzione last minute. Il Cav è un amico, anche in guerra.

Nel 2011 Berlusconi non vuole intervenire favorendo il crollo del regime di Gheddafi, il più grande errore strategico dell'Italia dopo la seconda guerra mondiale, che paghiamo ancora oggi. Però il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, con l'appoggio in Parlamento del Pd, è il garante degli alleati che l'Italia avrebbe partecipato ai raid. Guido Crosetto, allora sottosegretario alla Difesa, fermamente contrario all'intervento, lo tiene fuori dalla riunione improvvisata d'emergenza, quando i francesi hanno già alzato in volo i caccia.

Il 14 marzo 2011, nell'ultima intervista a un media italiano prima della sua morte mesi dopo, Gheddafi va giù duro con tutti i leader occidentali di allora, americani, francesi e inglesi. «Il signor Sarkozy ha un problema di disordine mentale (e il colonnello si batte il dito indice sulla tempia per spiegarsi meglio) - riporta il Giornale - Ha detto cose che possono saltar fuori solo da un pazzo».

Alla fine si rammarica solo per Berlusconi, nonostante l'Italia, quattro giorni dopo la pubblicazione dell'intervista, diventa di fatto la portaerei nel Mediterraneo dei raid sulla Libia. Gheddafi concede l'intervista sotto la famosa tenda verde di beduino piantata in mezzo a Bab al-Azizia, la sua roccaforte nel cuore di Tripoli, in piena rivolta della primavera araba. L'ambasciatore Moftah Missouri, loden e barba grigia da signore di campagna, consigliere per la stampa del colonnello si è convinto proprio per il legame del Giornale con la famiglia Berlusconi. «Con Silvio erano amici» continua a ripetere ancora oggi dall'esilio.

Il Cav riusciva, grazie all'empatia e al rapporto personale, che travalicano le austere regole diplomatiche, a instaurare un rapporto umano anche con dittatori stravaganti come Gheddafi. Il colonnello non era né Hitler, né Stalin. Quando il primo dei suoi figli, con scarsi incarichi governativi, viene ucciso dalle bombe della Raf britannica che vogliono colpire il padre, Berlusconi rimane choccato e protesta duramente.

Il Cav non ha mai rinnegato le amicizie, neppure in guerra, come quella con il nuovo zar

Putin, ben più scabrosa dopo l'invasione dell'Ucraina. Giusto o sbagliato, gli fa onore e dimostra la distanza siderale del personaggio con i peggiori politici di professione pronti a rinnegare la madre per un pugno di voti.

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