Nel 2023 sono stati utilizzati 21,1 miliardi di fondi Pnrr a fronte di una spesa complessiva di 45,6 miliardi. In pratica, lo stesso importo investito nei primi due anni di piano. Al di là delle polemiche politiche e della riorganizzazione della struttura di missione, è evidente che il governo Meloni si sia dato da fare per onorare gli impegni.
Lo sforzo, tuttavia, non è sufficiente perché - a fronte dell'erogazione del 52% degli aiuti (in totale 191,5 miliardi) - ne è stata spesa meno della metà e se non si accelererà, il rischio è di dover restituire quanto non impiegato dei 41,5 miliardi di finanziamenti a fondo perduto e dei 60,9 miliardi di prestiti. Un discorso che si può ampliare all'intera entità del Piano composto da 68,9 miliardi di grants e 122,6 miliardi di loans.
In ogni caso, l'obiettivo del 30 giugno 2026 è molto impegnativo. A inizio anno il governo ha richiesto 10,6 miliardi di pagamento della quinta rata, mentre per quest'anno sono attese altre due rate da complessivi 28,8 miliardi. Il problema è che, nonostante due bandi su tre siano sostanzialmente aggiudicati, il 75% dei cantieri abbiano accumulato ritardi, un dato riscontrabile anche dal livello basso della spesa per tutto ciò che non rientri nella categoria degli incentivi. Ecco perché l'approvazione del quarto decreto Pnrr è più che mai fondamentale. Il provvedimento, fermo ai box di Palazzo Chigi) da qualche settimana è cruciale non solo per la rimodulazione dei 30 miliardi di euro da destinare a RepowerEu e dei 13 miliardi da recuperare per i Comuni, ma soprattutto per le innovazioni normative relativa alla possibilità di commissariare le opere in modo tale da far partire la spesa.
Se si guardano i dati dei singoli ministeri, infatti, emerge che il ministero dell'Ambiente con 34,6 miliardi ha speso 14 miliardi (la cifra più alta), circa il 40%, in virtù del Superbonus e degli altri incentivi. Stesso discorso per il ministero delle Imprese con 19,6 miliardi destinati che ha utilizzato il 70% dei fondi (13,7 miliardi) grazie a Transizione 5.0. Sotto media il ministero dell'Istruzione (3 miliardi spesi su 17,5, 17%), il dicastero della Salute: (590 milioni su 15,6 miliardi, 3,8%) e il dipartimento della Trasformazione digitale (1,2 miliardi su 12,8, 9,3%). Si tratta di istituzioni alle quali è richiesto di far partire cantieri i più complessi dei quali sono quelli relativi alla posa della fibra ottica e delle antenne di trasmissione per i programmi «Italia 1 Giga» e «Italia 5G».
Superare la burocrazie è fondamentale anche per il piano Alta velocità del ministero delle Infrastrutture (speso il 15,3% dei 39,7 miliardi destinati anche se i rendiconti potrebbero essere parzialmente incompleti). La malcelata speranza, in ogni caso, è che Bruxelles si convinca a posticipare la scadenza di giugno 2026 come già ipotizzato dalla Bce.
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