Ci sarà pure un «governo del cambiamento» a Roma, ma nel Paese il vento della politica è già cambiato. Tira una forte tramontana di centrodestra e trascina via con sé tante delle polemiche e dei sospetti che avevano accompagnato quest'ultima tranche di campagna elettorale, influenzata dalle consultazioni e quindi dalla nascita dell'esecutivo giallo-verde.
Alleanza che ancora non sembra godere di alcun credito, presso l'elettorato. Anzi, come cominciano a intuire in molti, sono i Cinquestelle a pagare un alto prezzo per l'alleanza con la Lega, che ormai minaccia di «cannibalizzarli» in virtù di una migliore e più capillare organizzazione sul territorio, una più decisa capacità di indirizzo politico e un maggior «fiuto» di Salvini rispetto a Di Maio. Così che non appare del tutto campato in aria, anche se fuori tempo massimo, l'appello che veniva ieri dalla deputata azzurra Michaela Biancofiore, che invitava il grillino Di Maio a prendere atto dei risultati delle comunali e ad aprire il governo «a tutto il centrodestra nel rispetto della volontà popolare».
Per come stanno andando le cose, è l'unità del centrodestra a incontrare il favore degli elettori. Anche perché la (ex) coalizione sembra saper marciare divisa ma colpire unita: dove arranca la Lega (al Sud o in altre zone meno sensibili all'irruenza di Salvini), Forza Italia presidia stabilmente il territorio; dove sia gli azzurri che il Carroccio sono a corto fiato, a far bottino pieno arrivano i Fratelli d'Italia della Meloni (secondo partito del centrodestra ad Ancona, Brindisi, Catania e Pisa). Così che sembra persino azzardato fare assurgere il traino leghista di questo periodo a «fase egemonica» e «mutazione genetica del centrodestra» (teoria usata in modo strumentale soprattutto dai renziani). A smentirla, c'è lo stesso Salvini che ieri, nel commentare i risultati in via Bellerio, s'è ben guardato dall'utilizzare toni trionfalistici. Al contrario, ha voluto ribadire al suo quartier generale che la linea la gestisce lui e solo lui (qualcuno s'era lasciato prendere da entusiasmi giallo-verdi), che la Lega è «forza alternativa» ai grillini, che viceversa l'alleanza con gli alleati del centrodestra è salda e «io mi auguro la buona salute degli alleati». Infine, che con Berlusconi si sente ogni giorno e «lo sentirò a breve, anche adesso che esco da qui».
Ma se questo è il quadro del cambiamento in atto, a uscirne rafforzato è comunque pure il governo: questo sì, in procinto di subire un'egemonia leghista sugli spaesati grillini. D'altronde i dati sono a senso unico, con le sole eccezioni di Brescia («lì abbiamo sbagliato qualcosa, anche se siamo al 24%», ha detto Salvini) e di Imperia, dove «il passato politico di Scajola ha avuto un suo peso», come ha commentato il governatore forzista Toti. Dei 109 comuni più grandi, 14 sono andati al centrodestra, 13 a coalizioni civiche, soli sette al centrosinistra. Nei 75 centri che andranno al ballottaggio, il centrodestra si presenta in vantaggio in 29 comuni, il centrosinistra in 20, il M5s solo in otto. Con la nota peculiarità che sono più assimilabili i voti di centrodestra a quelli grillini che quelli di centrosinistra.
Altro risultato abbastanza significativo è quello nei capoluoghi, 15 dei quali erano nelle mani del Pd. Eccezion fatta per Brescia, ormai ultima roccaforte cattocomunista, e nonostante il traino di molte «civiche» il centrosinistra è costretto al ballottaggio in sue antiche piazzeforti, quali Massa, Siena, Ancona e Avellino.
Parte addirittura in svantaggio a Pisa, Teramo e Brindisi. Di converso, il centrodestra vince a Barletta, Treviso, Vicenza, Catania. La Lega sbarca nell'«operaia» Terni passando da zero a 14.667 voti: il ballottaggio sarà un derby tutto sovranista con i Cinquestelle.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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