"Gigante del Concilio irriso come reazionario"

Il filosofo ed ex ministro: "La sua lezione? La Chiesa salva il mondo e non viceversa"

"Gigante del Concilio irriso come reazionario"

Con lui se ne va un'epoca: «Ratzinger è stato l'ultimo grande teologo europeo - spiega Rocco Buttiglione, filosofo, professore universitario, due volte ministro con Berlusconi - ma questo non dev'essere un dato di nostalgia. La Chiesa si espande oltre i confini europei e il passaggio da Benedetto a Francesco indica una traiettoria in qualche modo profetica».

Quale è l'importanza di Ratzinger come teologo?

«Ratzinger è stato uno dei grandi teologi del Concilio. Il problema è che il Concilio è andato in un certo modo, ma i media hanno raccontato un altro concilio che non c'è mai stato, in cui la Chiesa sarebbe venuta a patti con la modernità, depurandosi da errori, modernizzandosi e democratizzandosi, lasciandosi alle spalle gli errori del passato e alleandosi - soprattutto in Italia - con il comunismo, nemico del fascismo che invece era il male assoluto».

Ratzinger?

«Ratzinger resiste a questa deriva: per lui non è la modernità a salvare Gesù Cristo e la Chiesa, semmai il contrario. Ad un certo punto, anche la rivista Concilium subisce questa seduzione progressista e viene presa dall'ansia di allinearsi al mondo. E allora Ratzinger in compagnia di due altri teologi strepitosi come Henry de Lubac e Hans Urs von Balthasar fonda Communio, dove si ribadisce il primato di Cristo e della Chiesa. La Chiesa sta nella modernità ma non ne è succube».

Insomma, il teologo tedesco sfida le mode?

«Non c'è dubbio. E per questo viene criticato, deriso, etichettato come il Pastore tedesco. In realtà non è un progressista ma nemmeno un reazionario: non rimpiange i tempi passati ma accetta la sfida del suo tempo. Cristo è la risposta alle esigenze dell'uomo».

Lei come l'ha conosciuto?

«Proprio attraverso Communio, fra il 1972 e il 1973. Monsignor Eugenio Corecco, futuro vescovo di Lugano e grande canonista, presenta Ratzinger a don Giussani che in quegli anni sta combattendo la stessa battaglia: far comprendere la centralità di Cristo, contemporaneo all'uomo di oggi. Nasce appunto Communio, con l'edizione tedesca ma anche quella italiana, a cui lavorano alcuni giovani cielllini, fra cui il sottoscritto e don Angelo Scola, futuro arcivescovo di Milano».

Poi il marxismo va in crisi.

«E le verità messianiche portate da quell'utopia vanno in pezzi. La verità non c'è più, ci sono le mille interpretazioni soggettive della verità, i mille diritti che ciascuno si ritaglia».

Lui?

«Resta ancorato al suo pensiero; quando nel 1977 diventa arcivescovo di Monaco il motto che sceglie è: Collaboratore della verità. E di fronte alle obiezioni del neo scientismo, che riduce tutto a quel che è misurabile scientificamente, replica che la fede non è contro la ragione, anzi è un modo di usare la ragione».

Francesco è oggi molto diverso da Benedetto. I due sono stati in contrasto?

«Non credo. Benedetto ha compiuto l'ultima grande sintesi del pensiero europeo, Francesco rappresenta gli altri mondi che vengono avanti. Tutti e due condividono l'idea di stare dentro la contemporaneità, il primo passa il testimone al secondo».

Ma perché si è dimesso?

«Credo abbia pesato molto la drammatica esperienza dell'ultimo Wojtyla.

Io stesso andai a trovare Giovanni Paolo II in Vaticano nel 2000 e non ebbi il coraggio di parlargli di quel che avevo appena saputo sulla pedofilia. Pensavo sarebbe morto di lì a qualche giorno, invece quell'agonia si è protratta per cinque anni».

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