La situazione adriatica cambia di ora in ora. Nella giornata di ieri abbiamo avute diverse manifestazioni che aggravano sensibilmente la situazione pur non rendendola ancora catastrofica. Tutte le speranze di un accordo non sono perdute. La nota ufficiosa del Governo malgrado il tono dimesso non ci convince. Non è vero che «l'occupazione di Veglia e di Arbe minaccia di far passare davanti al mondo l'Italia come un paese senza onore e senza parola». L'Italia non c'entra. Non si può pretendere dall'Italia quello che non può dare. Si può pretendere dall'Italia lo sgombro di Veglia e di Arbe quando il Trattato sia diventato esecutivo ma nessuno può chiedere all'Italia di massacrare i suoi soldati in un episodio di guerra civile. La situazione fiumana si è aggravata e complicata per questa ragione: perché Giolitti vuole sloggiare i legionari della Reggenza dalle isole di Veglia e di Arbe.
Questa precipitazione di Giolitti non si spiega o si spiega troppo. Non ci risulta che da Belgrado siano partite rimostranze in proposito e non potevano partire perché il Trattato non è ancora esecutivo. E allora perché il cav. Giolitti si propone di sgombrare a qualunque costo anche a costo di sangue le due isole del Carnaro?
Poi è venuto a tarda ora il comunicato Stefani nel quale è detto che il generale Caviglia ha «intimato alle truppe della Reggenza di rientrare nei limiti dello Stato di Fiume stabiliti dal Trattato di Rapallo». Ma questi limiti non sono ancora definitivi perché il Trattato è ancora «sub judice» tanto in Italia quanto a Belgrado; e di più: questi limiti non sono stati riconosciuti dalla Reggenza perché sono stati tracciati senza averla minimamente consultata. Anche dal punto di vista giuridico la Reggenza è perfettamente a posto. La questione del porto Barros di Sussak di Castua e delle due isole rientra nei dettagli che potevano formare argomento di ulteriore trattative a due o a tre. Non c'era e non c'è bisogno di ricorrere a iniqui mezzi coercitivi come il «blocco» per consegnare terre italiane ai croati. Il «blocco», anche «pacifico» come si vuol dare ad intendere debba essere quello giolittiano, è sempre una misura odiosa e tanto più indegna quando colpisce italiani.
Le incognite del blocco sono paurose: o è veramente «blocco» e allora un giorno o l'altro i legionari faranno la sortita della disperazione e riavremo in più vaste proporzioni la tragedia di Aspromonte, o non è blocco e allora la situazione attuale si prolungherà penosamente all'infinito. Non è con questi mezzi che si risolve il problema. Noi invocammo invano che prima di andare a Rapallo si passasse da Fiume. Ora si sconta l'errore. Si è in tempo a ripararlo? Interrogativo angoscioso. Tutto è possibile. Ma perché sul tormentato Carnaro ritorni la pace bisogna andare verso d'Annunzio non con battaglioni di carabinieri o con reticolati di fili di ferro bensì con lealtà; da Governo a Governo, da italiani a italiani.
Il «blocco» è forse il preludio della guerra
civile la cui responsabilità ricade sul Governo di Roma perché ripetiamolo ancora una volta non c'è nessun bisogno e anche nessuna urgenza di consegnare ai croati Veglia e Arbe che vogliono essere italiane.2 dicembre 1920
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