Il giovane, il liberale e il filosofo. I sette nuovi imperatori di Cina

L'obiettivo: aprirsi al mondo ma conservare il partito al potere. Con Xi, che non nomina eredi, nuovo Mao

Il giovane, il liberale e il filosofo. I sette nuovi imperatori di Cina

«Anche un viaggio di mille miglia comincia con un passo». Il celebre aforisma di Laozi fa parte della millenaria cultura cinese e Xi Jinping, l'imperatore comunista più forte e autoritario dai tempi di Mao Zedong, ha dimostrato di conoscerlo molto bene. Ieri, al termine del 19mo Congresso del partito comunista, Xi ha presentato nella Grande sala del popolo che si affaccia su Piazza Tiananmen a Pechino i sette componenti del Comitato permanente del Politburo, il sancta sanctorum del partito, cuore nevralgico del sistema di potere che governa 1,4 miliardi di cinesi. Molti osservatori occidentali si aspettavano che avrebbe nominato solo i suoi fedelissimi, invece il segretario del partito, presidente della Cina e capo dell'esercito, ha deciso sì di rivoluzionare il sistema, cambiando alcune tradizioni consolidate all'interno del partito, ma un passo alla volta, spartendo il potere tra le diverse fazioni.

Il presidente ha fatto inserire in Costituzione alla voce «ideologia guida» il «Pensiero di Xi Jinping», mettendosi sullo stesso piano di Mao. La sua smisurata ambizione non si è fermata qui: è tradizione infatti che dopo cinque anni in carica (Xi è stato nominato nel 2012) il leader nomini all'interno del Comitato permanente del Politburo un delfino intorno ai 50 anni, candidato in pectore per la successione. Xi invece non l'ha fatto, rinfocolando così le speculazioni sulla sua volontà di restare alla guida del partito più grande del mondo oltre i canonici 10 anni.

Nessuno conosce le reali intenzioni del presidente. Di sicuro però non vuole prendere il potere assoluto in un unico colpo, ma solo un passo alla volta. Guardando gli ufficiali che sono stati nominati all'interno del Comitato permanente è evidente la logica della spartizione del potere e l'accordo che c'è stato tra Xi, la «cricca di Shanghai» capeggiata dal vecchio leader Jiang Zemin e la Lega giovanile comunista legata all'ex presidente Hu Jintao. Oltre a Xi e al premier riconfermato Li Keqiang, i nuovi padroni della Cina infatti sono: Wang Yang, 62 anni, vicepresidente, un liberale in campo economico, che ha condotto la lotta per far uscire 55 milioni di cinesi dalla povertà e servirà a Xi per costruire un'immagine più liberale della Cina; Han Zheng, 63 anni, che è stato il più giovane capo di partito di Shanghai, abile più che altro a non pestare mai i piedi a nessuno; Zhao Leji, 60 anni, sarà a capo della potentissima Commissione anti-corruzione, il braccio armato di Xi che ha già epurato 1,4 milioni di ufficiali spianando la strada alla conquista del potere da parte del segretario; Li Zhanshu, 67 anni, che sarà probabilmente nominato capo dell'Assemblea nazionale del popolo, è amico di Xi e della sua famiglia fin dagli anni Ottanta ed è stato il primo membro del partito a dichiarare «fedeltà assoluta al compagno Xi» nel 2014, 18 mesi prima che lo facesse il Politburo; infine Wang Huning, 62 anni, sarà a capo della propaganda e dell'organizzazione del partito. Pensatore e accademico, dopo essere stato l'ideologo di Jiang Zemin e Hu Jintao, potrebbe diventare il nuovo volto delle relazioni diplomatiche della Cina.

Se Li, Wang Huning e Zhao sono gli uomini di fiducia del presidente, Han appartiene alla cricca di Shanghai, mentre Wang Yang si

rifà alla Lega giovanile comunista. Saranno loro a costruire la «nuova era» della Cina sotto la guida dell'imperatore Xi. Con un unico obiettivo: conservare il partito al potere perché il Paese non faccia la fine dell'Urss.

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