«Totale mancanza di indizi che non siano mere, anche suggestive supposizioni». È durissima l'ordinanza del gip che ha smontato l'impostazione dell'accusa non convalidando i fermi del gestore della funivia del Mottarone, Luigi Nerini, e del direttore di esercizio, Enrico Perocchio. In 24 pagine il gip di Verbania Donatella Banci Buonamici smonta l'impostazione della Procura che aveva ritenuto «logiche» le argomentazioni del caposervizio Gabriele Tadini, il grande accusatore. È stato lui il primo a confessare la prassi dell'inserimento del forchettone per impedire ai freni di emergenza di entrare in funzione, chiamando in causa gli altri due: sapevano ed hanno avallato la procedura per non dover fermare la funivia, che nel 2020 aveva dimezzato il bilancio, chiuso con quasi 82mila euro di perdite. Il che però non aveva impedito a Nerini di mantenere il vecchio stipendio di 96mila euro.
Il 23 maggio quello che veniva considerato un evento rarissimo, quasi impossibile, è accaduto: la fune traente ha ceduto e con i ceppi inseriti la cabina numero 3 è precipitata uccidendo 14 persone. Per il gip «il già scarno quadro indiziario è uscito indebolito dagli interrogatori». Di più: i fermi sono stati «eseguiti al di fuori dei casi previsti dalla legge». Nessun elemento sul pericolo di fuga ipotizzato dalla Procura, visto che Nerini e Perocchio si sono messi subito a disposizione dell'autorità giudiziaria, presentandosi nel cuore nella notte e chiedendo (invano) di essere sentiti. Irrilevante anche il riferimento al clamore mediatico intorno alla vicenda, «che non si può certo far ricadere sugli indagati». La tesi di Tadini del «tutti sapevano» non convince il gip. Perché Perocchio avrebbe dovuto avallare «la scelta scellerata di Tadini»? «È dipendente della Leitner, percepisce uno stipendio dalla Leitner, la quale a sua volta percepisce dalla Ferrovie del Mottarone 127mila euro l'anno per la manutenzione. Perché avrebbe dovuto rifiutare di intervenire? Che interesse avrebbe avuto la Leitner a mantenere in cattive condizioni l'impianto di Stresa? Aveva tutto da perdere dal malfunzionamento della funivia e Perocchio aveva anche tutto da perdere in termini di professionalità e reputazione dal malfunzionamento dell'impianto di Stresa». E Nerini, chiede il gip, perché mai avrebbe dovuto avallare una simile prassi ora che la stagione turistica non è ancora iniziata? Non sarebbe stato più sensato, ragiona il giudice, sospendere per qualche giorno il servizio ora, magari durante la settimana, per provvedere alla manutenzione, e risolvere il problema senza un rilevante danno economico in termini di perdita di entrate? Per la Procura, invece, il freno sarebbe stato disattivato, e non solo il giorno del disastro, proprio per non dover rinunciare agli incassi. Ma le dichiarazioni degli altri dipendenti, che hanno confermato la prassi dei forchettoni attribuendone però la responsabilità al solo Tadini - che in un primo momento in effetti si era preso tutta la colpa per poi cambiare versione quando è stato indagato - smentiscono la sua chiamata in correità. «Nessuno ha parlato del gestore o del direttore d'esercizio», scrive il gip.
Ciò non vuol dire che Nerini e Perocchio siano fuori dai guai, a loro carico rimangono elementi pesanti e confermate le accuse di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose gravissime e rimozione di sistemi di sicurezza. Comunque una sconfessione di parte del lavoro della Procura, che continua ad indagare per verificare eventuali responsabilità di altri dipendenti della funivia e soprattutto per accertare perché il cavo ha ceduto.
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