Due a zero e di nuovo palla al centro. Dopo la prima condanna inflitta al ministero della Salute dal Tar del Lazio sul piano segreto, arriva oggi la seconda batosta che si abbatte su Roberto Speranza: il Tribunale Amministrativo laziale ha infatti emesso la sua sentenza “in nome del popolo italiano” costringendo il dicastero a fornire i verbali della task force anti coronavirus. Fino ad oggi tenuti segreti.
Breve riassunto, per chi non ha seguito sin dall’inizio la vicenda. Torniamo al 22 gennaio del 2020, prima dell’inizio dell’epidemia, il giorno in cui Speranza annuncia la creazione di una task force da lui presieduta e formata dai “migliori cervelli” di cui dispone il Paese. Il gruppo di lavoro si riunisce tutti i giorni per diverse settimane, tutte le mattine alle nove e sempre alla presenza del ministro di Leu. È in quella sede che nascono le prime strategie per il contenimento del virus cinese. Lì che sorge la decisione di chiedere lo stato di emergenza. Lì che viene ascoltato il 27 gennaio Ranieri Guerra, ex direttore aggiunto dell’Oms poi coinvolto nel putiferio del dossier di Zambon. Ma soprattutto è lì che si decide, come emerso dalle carte dell’inchiesta di Bergamo, cosa fare (e cosa non fare) del piano pandemico anti-influenzale. Giuseppe Ippolito, direttore dello Spallanzani, il 29 gennaio suggerisce di far riferimento a quel documento aggiornandolo alle linee guida dell’Oms. "È stato fatto?", si chiedono in molti. Forse basterebbe leggere i verbali delle riunioni per capirlo. Ed è qui che sorgono i problemi.
Il 22 dicembre del 2020, infatti, il deputato FdI Galeazzo Bignami presenta un’istanza di accesso civico per ottenere i “documenti nella disponibilità del Ministero della Salute e a qualsiasi titolo da essi redatti e detenuti inerenti lo svolgimento delle riunioni della task force”. Il motivo di tanta indeterminatezza sta tutta nel fatto che il dicastero ha opposto diniego asserendo al fatto che gli incontri dei “migliori cervelli” si erano svolti in maniera “informale”. E dunque in assenza di procedimenti o verbali veri e propri. Insomma: trasparenza portami via.
Bignami, difeso dall’avvocato Silvia Marzot, decide allora di rivolgersi ai giudici come già successo nel caso del piano segreto. E, come ilGiornale.it può rivelare in esclusiva, vince su tutta la linea. Per la seconda volta.
Il ministero, va detto, si era difeso con le unghie e con i denti. Per l’avvocatura dello Stato infatti “non esistono i verbali e/o documenti inerenti le riunioni della task force" ma “solo resoconti informali, con allegato l’elenco dei presenti acquisito nel corso della riunione”. Cosa cambia? Nulla dal punto di vista sostanziale: sempre di fogli scritti si tratta. Ma il ministero ha provato a giocare sul cavillo da azzeccagarbugli: trattandosi di un tavolo non ufficiale, la task force non avrebbe posto in essere “atti, documenti o provvedimenti”, ma solo “resoconti redatti da un funzionario, di volta in volta presente alla specifica riunione, che annota sinteticamente i diversi interventi, ma non trascrive testualmente gli interventi stessi”. Tradotto: trattasi di atti non formali che dunque il parlamentare FdI non avrebbe diritto a richiedere.
Peccato che i giudici della Sezione Terza Quater del Tar non la pensino allo stesso modo. “La circostanza che la task force si sia limitata a fornire al ministro ‘aggiornamenti e considerazioni al fine delle determinazioni da assumere, non ponendo in essere atti/documenti/provvedimenti- si legge nella sentenza - è del tutto irrilevante”, perché “per ‘documento amministrativo’ si intende ‘ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non, relativi ad uno specifico procedimento (...) indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale’”. Poco importa insomma se il tavolo era informale e se gli atti non sono stati protocollati: il diritto di accesso di ogni cittadino “prescinde dalla natura dei documenti richiesti”. E deve essere garantito soprattutto oggi che ci troviamo “in una situazione di così grave preoccupazione per la salute pubblica e individuale”.
“Per la seconda volta i Giudici condannano il ministro Speranza e danno ragione a FdI nella battaglia per la trasparenza condotta nell’interesse di tutti gli italiani”, dice al Giornale.it Francesco Lollobrigida, capogruppo alla Camera.
“Si tratta di documenti fondamentali, che, come affermato dallo stesso ministero, hanno condotto alla dichiarazione dello Stato di emergenza del 31 gennaio 2020 determinando tutte le scelte operate dal governo nella gestione della pandemia”. Entro 30 giorni il dicastero dovrà consegnare quanto richiesto a Bignami. E così presto sapremo cosa c’è scritto davvero in quei documenti. Rimasti fino ad ora nel cassetto di Speranza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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