Giulia Cecchettin è stata uccisa un anno fa esatto. Il suo corpo è stato ritrovato una settimana dopo, immondizia in mezzo agli arbusti. Da lì il coro dei «mai più», un'Italia sinceramente commossa e indignata di fronte a quello che sembrava un omicidio spartiacque. Insomma, avevamo ampiamente superato il limite, come se ce ne fosse uno tollerabile. Tutti in piazza, cartelli, dibattiti, sensibilizziamo, denunciamo, preveniamo.
Cosa è cambiato in un anno? Cosa abbiamo imparato dopo la morte di Giulia? Più o meno niente. Forse solo che ci sono certi delitti che fanno più rumore di altri, colpiscono di più. Perché? Perché lui ha la faccia da bravo ragazzo, perché ha ammazzato davanti ai figli, perché ha usato le forbici, perché aveva solo 15 anni, perché ne aveva 80. E ancora perché lei si stava per laureare, stava per diventare mamma, perché aveva scritto sul diario che se lo sentiva. Ma anche gli altri delitti, quelli che non hanno nemmeno la consolazione di diventare storie nazionali, esistono. E portano ugualmente choc, dolore, cicatrici, orrore, anche quando restano numeri in un elenco. L'ultimo report del Ministero dell'Interno parla di 80 donne uccise in ambito familiare/affettivo dal primo gennaio 2024 a fine ottobre, 50 delle quali uccise per mano del partner o dell'ex partner. Tante, troppe per il Paese che aveva riempito le piazze di «Mai più». Senza essere veggenti, ci saranno altri casi da qui a Natale: la media dei femminicidi è uno ogni 4 giorni. Lo era prima di Giulia. E lo è anche ora. Viene addirittura il dubbio che parlare di certi omicidi provochi un senso di emulazione, di normalizzazione della violenza anziché il contrario.
Mentre si educa la nuova generazione al rispetto, si intervenga con urgenza sugli strumenti di prevenzione che non funzionano. A cominciare dalla legge anti-stalking e dalla gestione del periodo post-denuncia, il più delicato per la vita di chi cerca salvezza.
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