«L'onore non si può togliere, si può solo perdere», diceva Anton Cechov. Se quello di Giovanni Donzelli è salvo, non si può dire lo stesso per il Pd. Il Gran giurì della Camera ha assolto il parlamentare Fdi dall'accusa di aver leso (durante il suo intervento dello scorso 31 gennaio) l'onore della deputazione dem che a gennaio fece visita all'anarchico Alfredo Cospito, detenuto al 41bis. Appena il deputato M5s Sergio Costa finisce di leggere in aula la relazione approvata all'unanimità dal Giurì di cui era presidente, tra i banchi di Fdi parte l'applauso. Nessuno tra i meloniani nasconde la propria soddisfazione, mentre il Pd rosica per l'ennesimo attacco pretestuoso a Palazzo Chigi che viene sventato, farneticando su una «ritrattazione» cui sarebbe stato costretto il deputato Fdi.
Niente di più lontano dalla realtà, stando al testo approvato all'unanimità: «Le parole utilizzate nell'intervento in Aula» del vicepresidente del Copasir («La sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi con la mafia?», ndr), seppur «con toni che appaiono politicamente aspri, intendevano essere testimonianza di una preoccupazione riguardo ad eventuali effetti indiretti su un affievolimento» del carcere duro, e pertanto «non sono lesive dell'onorabilità dei deputati del Pd Debora Serracchiani, Silvia Lai e Andrea Orlando», davvero erano «interessati alla salute e alle sue condizioni di detenzione».
La vera «colpa» di Donzelli? Aver rivelato che i deputati di sinistra avevano interloquito anche con alcuni boss mafiosi, forse proprio del regime di carcere duro, mettendo a rischio l'efficacia della misura repressiva nei loro confronti. È vero che il Giurì ha difeso l'istituto della visita di un parlamentare in carcere previsto dall'articolo 67 dell'ordinamento penitenziario, stabilendo che non può essere in alcun modo considerata «una vicinanza» nei confronti di Cospito o degli altri detenuti al 41 bis, né una volontà di voler indebolire la norma, ma lo scivolone del Pd resta. Per la sinistra però quelle erano informazioni coperte da segreto. La fonte era il collega e amico Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia con delega al Dap, che a Donzelli avrebbe riferito informazioni «secretate» fornite dall'Amministrazione penitenziaria, tanto che Delmastro è indagato a Roma dopo l'esposto di Angelo Bonelli (Verdi-Sinistra). Ma quelle informazioni, sebbene «sensibili» e «riservate», erano sottoposte a una secretazione di natura «politica», vista la natura «politica» del regime che l'allora Guardasigilli Marta Cartabia aveva deciso di infliggere al leader anarchico, come aveva confermato al Giornale l'ex numero uno del Dap Sebastiano Ardita, e dunque l'indagine a carico di Delmastro è destinata inesorabilmente all'archiviazione.
Tanto rumore per nulla? Non per il Pd, che non ci sta: «Se le scuse e la ritrattazione fossero arrivate in Aula alla Camera, tutta questa vicenda si sarebbe potuta evitare», dice l'ex Guardasigilli Orlando, che punta sulla fondatezza dell'indagine della Procura romana poi insiste: «Donzelli non esce assolto politicamente», tesi diventata l'unico mantra dei dem rispetto al testo letto in aula. Sarà. Intanto le condizioni di salute dell'anarchico, condannato a trent'anni per aver sparato a un manager di Ansaldo e aver messo una bomba (senza conseguenze) in una caserma, continuano a peggiorare. Secondo il suo medico di fiducia Andrea Crosignani, che l'ha visitato all'ospedale San Paolo, Cospito soffre di un «evidente deficit del sistema nervoso periferico», con difficoltà a camminare, per la «perdurante carenza di vitamine per lo sciopero della fame».
Non si ferma il pellegrinaggio di politici al suo capezzale (c'è anche un'interrogazione al ministro Carlo Nordio) né la rabbia dei militanti anarchici più violenti: ieri otto antagonisti hanno manifestato a volto coperto davanti al consolato italiano a New York, con due striscioni e qualche petardo. Mentre a Torino da giorni circola un volantino minaccioso, che il Pd colpevolmente non stigmatizza: «La nostra rabbia non è solo giusta ma anche umanamente doverosa quando un proprio fratello muore».
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