La giustizia mette il turbo solo con i nemici

Indagini sul caso Esposito chiuse in meno di 8 mesi. La media è 404 giorni

La giustizia mette il turbo solo con i nemici

La lentezza della giustizia è questione di punti di vista. Chiedere al pm romano Roberto Felici, che dopo aver ricevuto l'esposto del giudice Antonio Esposito quello della condanna al Cav del 2013 a proposito di una presunta campagna denigratoria ai suoi danni, ordina da giornali, politici e talk show, si è messo a indagare e non ha perso tempo. Il 7 marzo scorso, ecco arrivare i primi avvisi di conclusione delle indagini. E considerando che tutta la «campagna» sarebbe nata intorno alla registrazione audio di Amedeo Franco, giudice a latere nel processo che vide la condanna di Berlusconi, e che quell'audio è stato mandato in onda per la prima volta da Nicola Porro su Quarta Repubblica la sera del 29 giugno 2020, si capisce quanto veloci possono essere le indagini. Da quel giorno di fine giugno quelle parole in cui Franco si dissociava dalla sentenza definendola «guidata dall'alto» e «una grave ingiustizia», sono finite al centro di una serie di articoli su diversi giornali, dal Riformista al Giornale, fino a Libero, come d'altra parte accade di norma per le notizie. Esposito denuncia la «campagna diffamatoria». E otto mesi dopo, ecco l'avviso di conclusione indagini.

Il Sistema

Un caso di giustizia lampo. Soprattutto se confrontato con la durata media delle indagini preliminari, che per i dati del 2017 parlano di 404 giorni in media, 13 mesi e mezzo, contro i 240 giorni della denuncia del giudice Esposito. Inoltre, spesso il tempo necessario all'atto di conclusione delle indagini è ben più lungo: a Brescia, nel 2017, la durata media delle indagini era pari a 829 giorni, e a livello nazionale il 20 per cento dei fascicoli erano ancora nella fase delle indagini dopo due anni.

Che non sempre le cose procedano spedite come per il «complotto» denunciato dal giudice Esposito lo dimostra la recente condanna dell'Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell'uomo: esaminando proprio la durata delle indagini preliminari per una denuncia per diffamazione (non di un giudice, ma dell'ex patron della Casertana, Vincenzo Petrella), la Corte ha condannato il nostro Paese per

aver fatto prescrivere il reato nel corso di indagini andate avanti per cinque anni e due mesi. Violando così non solo la ragionevole durata, ma anche il diritto di accesso a un tribunale e il diritto a un ricorso effettivo.

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