Mentre da piazza Montecitorio rimbalza l'ormai celebre «o-ne-stà-o-ne-stà», intonato come ai bei tempi andati da un gruppo di attivisti grillini che manifestano contro la riforma Cartabia, nella vicina piazza Colonna - al primo piano di Palazzo Chigi - ci si va sempre più convincendo che l'unica strada per chiudere la querelle sulla riforma della Giustizia è quella di porre la questione di fiducia. Una delle ipotesi, che in serata va però perdendo quotazioni, è addirittura quella di autorizzarla già nel Consiglio dei ministri in programma oggi sulle norme anti-Covid. Un modo per mettere la pistola sul tavolo e dare un segnale politico forte al M5s, che anche ieri - rinfrancato delle perplessità manifestate da alcuni magistrati - ha continuato ad alzare barricate. Non solo in piazza, ma pure in commissione Giustizia della Camera. Tanto che alla fine è saltato l'approdo in Aula del provvedimento, già calendarizzato dalla Conferenza dei capigruppo per domani. Impossibile, infatti, completare in tempo utile l'esame dei 1631 emendamenti (di cui 900 del M5s) senza che vi sia un'intesa che spinga il Movimento a ritirare quelli presentati a scopo esclusivamente ostruzionistico.
Ma l'accordo, almeno per il momento, non pare dietro l'angolo. Anzi, ieri da Palazzo Chigi avrebbero ipotizzato una serie di modifiche - minime e quasi tutte tecniche - che Giuseppe Conte avrebbe però rimandato al mittente, ritenendole insufficienti. Dopo il colloquio di lunedì scorso a Palazzo Chigi, insomma, tra Mario Draghi e il suo predecessore sembra si sia rialzato un muro. Con l'ex numero uno della Bce che non pare però avere alcuna intenzione di riaprire il vaso di Pandora della riforma Cartabia, una delle architravi del Recovery, nonché passaggio fondamentale per ottenere i fondi promessi da Bruxelles. Per il premier, infatti, l'intesa è già stata ratificata in Consiglio dei ministri e rimettere mano al testo significherebbe non solo sconfessare il governo, ma anche ritrovarsi con Matteo Salvini e Matteo Renzi di nuovo - e legittimamente - sulle barricate. Per Draghi, dunque, il punto di caduta resta sempre lo stesso: piccoli ritocchi, ma l'impianto generale non si tocca.
Il problema, però, è la tempistica. Il 3 agosto si apre infatti il semestre bianco. E se il mare è già oggi così agitato, c'è da prevedere che scavallata quella data lo sarà ancora di più. E che Conte farà di tutto per portare la riforma della Giustizia a settembre e magari oltre. Con Draghi che, anche agli occhi dell'Europa, si ritroverebbe nel pantano della politica italiana.
A Palazzo Chigi hanno ben chiaro il problema. Ed è per questo che vorrebbero chiuderla al più presto. L'obiettivo è una nuova calendarizzazione in Aula per il 30 luglio, così che dalla settimana seguente sia possibile contingentare i tempi a Montecitorio ed evitare la fiducia. E in questo senso gli occhi sono puntati su come si muoverà non solo la Conferenza dei capigruppo ma anche il presidente della Camera, Roberto Fico. Se la mediazione non andasse a buon fine, a Palazzo Chigi si resta sulla linea della fiducia.
Che, essendo il testo originario quello dell'ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, sarebbe su un maxi-emendamento governativo che di fatto riscriverebbe la riforma. Da un punto di vista parlamentare, obiettivamente una forzatura. Ma il semestre bianco incombe.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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