Gerusalemme - Le ultime ore prima del voto di oggi in Israele sono state caratterizzate da agitazione e ansia, da reciproco sospetto. Bibi Netanyahu e Benny Gantz si fronteggiano in un'arena in cui non campeggia solo l'elettorato, ma anche una quantità di attori che possono determinare il futuro di Israele stando dalla parte dell'uno o dell'altro al momento della formazione della maggioranza di 61 seggi alla Knesset. Può essere questione di una testa, di una faccia, di una vendetta o di una ripicca... come è accaduto due mesi fa quando l'antagonismo di Liebermann ha precluso la formazione del governo Netanyahu. Potrebbe succedere di nuovo: i due protagonisti adesso stanno di fronte con una patrimonio di voti per il Likud da una parte e per Blu e Bianco dall'altra che è quasi identico, tutti e due intorno ai 30 seggi. E gli altri 30? Le trattative sono già avviate da tempo, e vertono sul medesimo punto: con Bibi o senza Bibi. Il primo ministro negli ultimi giorni ha giocato due carte: la prima quella dei rapporti internazionali, coi viaggi in Inghilterra e da Putin a Sochi, e le ripetute telefonate con Trump. Una dimostrazione di indispensabile equilibrismo internazionale mentre l'Iran assedia Israele dai confini al Nord.
In un vortice di accuse, anche quella che la tanto vantata amicizia con l'amministrazione americana sembrava venuta meno sulla ipotesi dell'incontro Trump-Rohani: ci ha pensato l'Iran a cancellare l'ipotesi con l'attacco all'Arabia Saudita. Non solo: nelle ultime ore Bibi ha potuto giocarsi la proposta americana di un trattato di alleanza strategica in caso di guerra, una bella assicurazione sulla vita. Il secondo terreno di gioco di Netanyahu è stata l'accusa alla sinistra e al partito arabo (che al momento con 12 seggi appare come il terzo partito con un'unità di correnti che in passato gli era mancata) di «rubare le elezioni» dimostrando che c'erano stati brogli. Nelle sue concitate ultime interviste ha chiesto ancora e ancora ai suoi di andare a votare. Anche Gantz ha invocato la mobilitazione. Tutti temono che la gente seccata di tornare dopo due mesi al seggio, possa preferire una gita al mare. Gantz però non ha mai trovato un punto cui guardare all'orizzonte, un titolo da prima pagina fuorché quelli che invitavano a cacciare Netanyahu. Bibi ha fatto i salti mortali: ha annunciato l'annessione della valle del Giordano o la possibilità di un guerra vicina. Gantz, il bel soldato con tre lauree, quieto e riflessivo, ha preferito uno stile che ha anche coperto la sua totale inesperienza politica. Netanyahu per avere la maggioranza ha bisogno dei partiti religiosi e nazionalisti, escluso quello di estrema destra (Yozma Yehudi, Forza ebraica) di cui ha dichiarato più volte l'impraticabilità politica. Le somme degli ultimi giorni dicono che Netanyahu avrebbe 57 volti, il centrosinistra 42 e ballerebbero il solito partito di Lieberman (Israel Beitenu, Israele Casa Nostra con 9 seggi), i partiti arabi uniti (12 seggi) che ancora non si sa se entrerebbero in un governo israeliano. Grandi incognite ancora sono i due partiti di sinistra, i laburisti che vogliono rinnovare la propria immagine perdente con la fresca Orly Levy, una parlamentare ex Likud, popolare nel mondo sefardita, e il Meretz con l'ex primo ministro Ehud Barak al decimo posto, scelta sorprendente. Si parla anche di un governo di coalizione se le due forze più grandi non riusciranno a formare il governo, ma il veto su Netanyahu da sinistra per ora è stretto: col Likud sì, ma con Bibi mai. Troppo grande la sua ombra sulla politica israeliana.
Ma ce n'è una ancora più grande: quella del rumore di tuono proveniente dal Golfo. Israele non è una graziosa città occidentale dove si va a votare e poi si torna a casa. A volte si va a votare e poi si deve andare a difendersi.
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