La preoccupazione si avverte anche a Palazzo Chigi. Anche in quelle stanze nessuno si nasconde che il caso Veneto, o meglio il caso Zaia, può innescare un processo di deterioramento o addirittura di esplosione degli equilibri di governo nel prossimo autunno o peggio nella primavera del 2026, ad un anno dalle elezioni politiche. Agli strateghi della Meloni sono arrivati diversi inviti alla prudenza dai leghisti più attenti alla sopravvivenza del governo. L'ultimo ieri mattina. «Rischiate - è stato il messaggio di un esponente storico della Lega - di scivolare sulla classica buccia di banana. Una buccia che potrebbe rivelarsi fatale per l'esecutivo. Sentite a me: i veneti sono personaggi ingestibili, la Liga non la tieni».
Detto da un personaggio che non nutre nessuna avversione, né rancore verso Giorgia Meloni l'avvertimento ha il suo valore. Si sta raggiungendo rapidamente il livello di guardia, l'allarme rosso. Ieri tutta la Lega si è schierata a favore del terzo mandato per il governatore. Matteo Salvini ha fatto asse con Zaia: in cambio di una posizione unitaria al prossimo congresso del Carroccio il segretario ha assecondato la minaccia del Doge di candidarsi in solitaria in Veneto. I piani del governatore sono presto detti. «Se ci presentiamo da soli - ha spiegato ieri Zaia ai suoi - vinciamo lo stesso, a mani basse. Superiamo di sicuro il 50%. Alle ultime elezioni a Bassano quelli di Fdi avevano arruolato quello che era il nostro sindaco, noi abbiamo candidato un consigliere e abbiamo vinto ugualmente. Siamo solidali con il centro-destra ma non possiamo tradire la nostra gente. Il nostro movimento ha quasi un profilo apartitico, che punta al merito. Mettiamola così: non vogliamo mettere in difficoltà il governo, ma la premier deve farsi carico dell'intera coalizione». E il pensiero va alle elezioni regionali del 2010 quando Berlusconi pur avendo Forza Italia altissima nei sondaggi non si sognò di togliere il Veneto alla Lega che viaggiava sull'8%. Di più anche l'idea di candidare un altro leghista è una subordinata che nascerebbe come necessità, non come scelta. «Se la consulta ci dà ragione - è il ragionamento del governatore del Friuli-Venezia Giulia, Fedriga - o se il Parlamento approva il terzo mandato il candidato è Zaia. Altrimenti andiamo da soli, Zaia si candida capolista e portiamo un altro nome come governatore. Non capisco davvero come possa la Meloni dire di no se in Piemonte è stato il capogruppo di Fratelli d'Italia a proporre il terzo mandato per il Governatore».
Insomma, situazione è ingarbugliata. La premier ha di fronte un rebus di difficile soluzione. Deve vedersela con la rigidità della Lega sul terzo mandato che fa proseliti pure nell'opposizione: dopo il governatore della Campania, De Luca, ieri è sceso in campo pure il sindaco di Milano, Sala. Contemporaneamente, però, deve fare i conti con il suo partito che sopra la linea gotica non governa nessuna ragione. «E che gli lasciamo tutto il Nord Italia - sbotta Fabio Rampelli - quando in tutte le regioni Fratelli d'Italia è il primo partito?!».
Per cui la mediazione è oggettivamente complicata. Basta parlare con i vertici della terza gamba del centro-destra per averne contezza. «Il problema è davvero di difficile soluzione - ammette il capogruppo azzurro, Paolo Barelli -: Zaia è deciso, Salvini è debole e noi non possiamo metterci ai piedi del Doge come gli islamici con Maometto. La questione è essenzialmente politica: una Lega all'8% non può avere i governatori di Lombardia, Veneto e Friuli! E visto che noi abbiamo il Piemonte a Fratelli d'Italia, che è il primo partito, cosa diamo? L'Istria?! In politica bisogna accettare compromessi. Anche noi non volevamo il sorteggio dei membri laici del Csm eletti dal Parlamento. Poi Nordio ci ha detto che Mattarella voleva quell'equilibrio e abbiamo abbozzato per avere la riforma della giustizia».
Solo che la Liga ha solo un chiodo fisso: il Veneto. Non ci sono merci di scambio. Ecco perché tutti predicano prudenza. «Sarebbe incomprensibile andare divisi in Veneto», è il richiamo del ministro Lollobrigida. «Evitiamo - suggerisce il forzista Mulé - che si inneschi una reazione a catena: i veneti sono nitroglicerina».
I tanti appelli all'accordo non danno però una risposta sul come. Resta la speranza che alla fine qualcuno ceda. «È il momento della voce grossa - confida il ministro Ciriani - ma alla fine si troverà un accordo. Le diplomazie sono al lavoro. E poi come fa Zaia a mettersi contro il governo? E uno come lui non lavora per un altro leghista».
Quindi tutto è appeso alla speranza che alla fine Zaia desista. «Io - osserva Gianfranco Rotondi, con l'esperienza dell'ex dc finito in FdI - non ci conterei troppo. I veneti non li controlli. Rischia di saltare il governo. Giorgia deve ricercare un'intesa». «La Meloni - ragiona il leghista Candiani - è sempre stata convinta del primato della politica sulla finanza.
Quando c'è uno come Musk come si fa a considerare un accentramento di potere un governatore con tre mandati. Vale anche per il premier: con il tetto ai mandati non avremmo avuto la Merkel». Diceva Silvio Berlusconi: «Per cambiare un paese devi governare almeno 10-15 anni». Non aveva tutti i torti.
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