Per tutta la giornata di ieri le domande ad esponenti della maggioranza sullo stato dell'arte del decreto Rilancio trovavano la stessa risposta declinata in modi diversi: «Si litiga». «Ci si scanna». «Problemi aperti su tutti i fronti: c'è casino sui soldi, sui testi, su tutto. Non solo problemi politici, ma anche tecnici», erano le repliche che arrivavano.
Così il Consiglio dei ministri, inizialmente previsto per venerdì, si allontanava sempre più, e la riunione del preconsiglio per mettere a punto i testi slittava di ora in ora: prima era fissata in mattinata, poi dopo pranzo, poi alle 18. Alle 19 invece viene convocata d'urgenza una conferenza governo-Regioni, con Conte e compagnia, e si capisce che anche il preconsiglio scivolerà nella notte. All'ora di cena il ministro dell'Economia va in tv a rassicurare: «Abbiamo sciolto tutti i nodi politici di questo decreto così imponente», annuncia Gualtieri al Tg5, spiegando che nella notte il preconsiglio cercherà di mettere a punto il testo: «È molto consistente, e bisogna evitare errori nelle norme». Il lavoro di limatura sarà ancora lungo, prima di far approdare il decreto sul tavolo del CdM.
Ma dopo 48 ore di bailamme Conte ha lanciato un disperato ultimatum alla maggioranza: bisogna uscire subito dal pantano, chiudere su un testo, ingoiando i compromessi, prima che il governo ci rimetta la faccia.
Nel giorno in cui la produzione industriale crolla quasi del 30% e in cui si scopre che in Italia non ci sono mascherine né guanti e neppure alcol per disinfettarsi, non si può dare ulteriore spettacolo di impotenza. Il dl promesso per inizio aprile per aiutare l'economia agonizzante deve vedere la luce almeno a metà maggio. Superando il paradosso per cui, per una volta che i soldi (55 miliardi) ci sono, il governo sembra incapace di spenderli. Dando all'opposizione argomenti per polemizzare: «La maggioranza è piena di contraddizioni - dice Silvio Berlusconi - i tecnici servono eccome, e vanno ascoltati non solo quando fanno comodo. Ma deve essere la politica a fare la sintesi». Esattamente quello che Conte non è apparso in grado di fare.
I più agitati erano i Cinque Stelle, che si muovono scompostamente, divisi anche tra loro, e si mettono di traverso su tutti i fronti. Innanzitutto sulla regolarizzazione dei migranti, su cui i grillini hanno la stessa linea di Salvini e Meloni. Il compromesso al ribasso trovato nella notte di domenica viene fatto saltare per aria lunedì mattina: niente permessi agli stranieri, meglio che gli schiavi restino nei ghetti.
Crea grande diffidenza nei Cinque stelle anche il tentativo di Conte di recuperare un credito con la nuova Confindustria di Bonomi. Così l'annuncio dato domenica sera dal ministro Gualtieri sullo stop all'Irap di giugno ieri era tornato a ballare, con una mezza marcia indietro del Mef per bocca di Misiani. Ma da Italia viva, che sostiene una cancellazione ancora più estesa, assicurano che il taglio ci sarà: «Non possono tornare indietro, anche se il Mef frena».
Per Confindustria i due miliardi previsti sono troppo pochi. Mentre a mandare in tilt i grillini sulla questione Irap, raccontano, è stato il fatto che il ministro Gualtieri, nella trasmissione Che tempo che fa, abbia fatto capire che per rimpiazzare le entrate di quella tassa che le imprese versano alle Regioni, e che le Regioni impiegano per sostenere la spesa sanitaria, si useranno i massicci fondi in arrivo dal nuovo Mes.
Un sottinteso che ha fatto imbufalire i grillini, attestati anche qui con Salvini sulla linea «mai Mes», e ha costretto il Mef ad una parziale frenata. Ai renziani non piace invece il tax credit per le vacanze ideato da Dario Franceschini: «Meglio dare soldi direttamente agli albergatori».
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