Prima li hanno messi, poi li hanno promessi e infine li hanno fatti sparire. Al terremoto hanno aggiunto anche la farsa. Si tratta di 725 milioni di euro e sono risorse destinate a soccorrere l'Italia centrale ancora terremotata e ancora da ricostruire dopo la sciagura del 2016 e del 2017. Lo stanziamento sufficiente per coprire l'emergenza (ma può essere ancora emergenza?), per i prossimi due anni, era contenuto in un provvedimento scritto in gran fretta e che aveva tutte le caratteristiche dell'operazione elettorale sfacciata, ma non si credeva perfino malfatta. Il decreto si è voluto chiamare «decreto sisma» ed è stato licenziato lunedì notte al solo scopo, è bene ripeterlo, di «prorogare» gli aiuti per Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria, regione chiamata al voto questa domenica. Annunciato dal governo - e a poche ore dalla competizione che vede Pd e M5s gareggiare uniti per sfidare il centrodestra - anche ai meno maliziosi non è potuto che sembrare giungere in ritardo, rispetto alle preghiere dei tanti piccoli sindaci e imprenditori, ma risultare tempestivo e utile per essere esibito come saldo di fine campagna elettorale.
E infatti, tra i politici che lo hanno immediatamente agitato come slogan il primo è stato il segretario del Pd, Nicola Zingaretti che, a Norcia, ha parlato di «svolta» seguito a ruota dalla sua compagna di partito Marina Sereni, viceministro degli Esteri, anche per lei una novità «perché raccoglie le esigenze di chi ha concretamente sperimentato in questi anni difficili le fatiche e la pesantezza delle procedure per la ricostruzione».
Una svolta davvero. Ma di retorica. Sono bastate poche ore per capire che si era di fronte al gioco, questo sì, delle tre carte. Nell'intervallo che è trascorso tra la notte e il giorno, e dunque alla stesura dell'ultima bozza, sono entrati e spariti 380 milioni per quanto riguarda il 2019 e altri 345 milioni per il 2020. Cosa è rimasto? Nient'altro che risorse già presenti nel fondo per le emergenze nazionali. Scoperta la falla, il governo si è premurato a rispondere che le risorse del 2020 rientreranno successivamente attraverso la legge di Bilancio mentre quelle del 2019 non erano nuove risorse, ma solo le vecchie spacciate per nuove e sempre quelle del fondo per le emergenze nazionali. Da quel che si capisce le uniche risorse, mezze vere, sono quelle del 2020 e sono pure una promessa rimandata. Ma dalla bozza sono stati depennati anche quegli articoli sollecitati dal territorio e che permettevano di sanare non l'abuso e la speculazione edilizia, ma la piccola difformità di volume o, ancora, superare una parte di quegli ostacoli che hanno impedito di procedere con le domande di contributo. Cassati anche loro. Ebbene, non si sa quale sia l'Umbria di cui parla Luigi Di Maio. Intervenuto ieri, in merito a questo decreto, come Zingaretti, non ha resistito all'annuncio magniloquente: «Finalmente abbiamo avuto il coraggio, come governo, di fare un decreto che libera i cittadini dalle grinfie della burocrazia.
I soldi ci sono ma le leggi dello Stato sono troppo complicate. Non si può gestire una situazione straordinaria con leggi ordinarie». Ne ha dette due ed entrambe sbagliate. I soldi per i terremotati ci sono, ma sono virtuali e le leggi complicate le ha lasciate complicatissime.
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