Il ridicolo balletto sul Mes, che ieri alla Camera ha visto sette grillini unirsi ai proclami anti-Ue di Meloni e Salvini mentre il premier (coadiuvato da par loro da Beppe Grillo e Vito Crimi) si arrabatta per far ingoiare ai Cinque stelle il sì al prestito, è solo la punta dell'iceberg.
I problemi interni con cui è alle prese il capo del governo sono assai più vasti: la tensione tra M5s e un Pd che tenta di uscire dal letargo che finora lo ha schiacciato sui grillini sta creando forti tensioni sulla distribuzione delle risorse, come dimostrano gli scontri sul Def. La Fase 2 è un gigantesco rebus, e Conte si mostra sempre più ansioso di riprendersi la regia, preoccupato di essere oscurato (e magari un domani sostituito) dai «tecnici». E infatti fa filtrare, tramite lo house organ contiano del Fatto, la sua «delusione» e «irritazione», addirittura «gelo», nei confronti di Vittorio Colao. «Ora la politica (che sarebbe lui, ndr) rientra in scena», fa sapere. Per questo ieri ha convocato una riunione di maggioranza sulla Fase 2, che serviva a dimostrare che le decisioni su come riaprire le prende lui, con tanti saluti a Colao. È andato però in scena un altro scontro tra i grillini e Pd e Italia viva: «Soldi non per sussidi ma per la ripresa», è lo slogan renziano.
Quello del Mes resta però un caso plateale, che farebbe molto ridere se non facesse piangere: i 37 miliardi, a tasso vantaggiosissimo e senza condizioni, se non quella di usarli per l'emergenza sanitaria, servono come il pane, costituiscono quasi la metà delle risorse mosse finora dal governo e sono gli unici effettivamente sul tavolo europeo in attesa di accordi sul Recovery Fund. Per questo Conte ha alzato trionfalmente i toni, dopo il Consiglio europeo di giovedì, annunciando sue vittorie epocali (che a Bruxelles non risultavano) e chiamando a raccolta i big della Casaleggio, Grillo in testa, a far la ola: occorre indorare il pillolone, quando si andrà chiedere in Parlamento il via libera all'uso del Mes, come promesso.
I 5s sono frastornati, dopo aver strillato per mesi «meglio morti che Mes», e aver sentito lo stesso premier giurare che mai e poi mai avrebbe attivato il prestito. Ma i più, come dimostra il voto di ieri (sia pur seguito da infinite precisazioni e capriole dialettiche) sono pronti a dar via libera, pur di non mettere a rischio governo e poltrone. Conte lo ha spiegato ai capi grillini: «Il Mes in parlamento passerà di sicuro, ma se fate diventare decisivi i voti di Forza Italia sarà difficile evitare sconquassi all'esecutivo». Il timore della concorrenza sovranista attanaglia però M5s, e quindi si sta tentando di «addomesticare» la fronda: un gruppetto di parlamentari, purché numericamente irrilevante, avrà licenza di sparare contro. Ieri a Montecitorio è andata in scena la prima prova: la Meloni, per «stanare Conte», ha presentato un ordine del giorno che diceva «Mai il Mes». La maggioranza, M5s inclusi, lo ha sonoramente bocciato, 216 a 119, con Forza Italia che prima vota contro l'odg e poi corregge: «Volevamo non partecipare al voto», spiega Gelmini. Un sostanziale sì al Mes, tra strilli e bagarre in aula. Una fronda di sette pasdaran M5s ha però votato con Fdi e Lega.
Mettendo in difficoltà il partito, con i dirigenti costretti ad arrampicarsi sugli specchi per dire che la linea resta il no, ma che il no lo deve dire Conte e non la Meloni. Quando poi Conte dirà sì, si vedrà il da farsi.
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