Gozi, il «Ventura» che ci ha portato all'esclusione

Il sottosegretario ha guidato la diplomazia italiana per l'Ema, ma ha rimediato solo un flop

Roberto Scafuri

Roma Ancora sotto choc per la débacle della sua Juve in campionato, si può dire che il sottosegretario Sandro Gozi sotto sotto sentiva che il lunedì sarebbe stato peggiore della domenica. Fin dal mattino aveva cominciato a nutrire il sacro terrore che sarebbe finita con la «lotteria della monetina», il metodo più assurdo che si potesse immaginare. E quando la pallina alla fine s'è fermata su Amsterdam, come capita in questi casi, quando uno se la chiama, l'ha vissuta proprio con l'anima dello sportivo deluso, maratoneta e juventino: «Come aver perduto una finale dei mondiali con la monetina».

Il problema, però, è che noi a Russia 2018 neppure ci saremo. E che il paragone calcistico è stato ribaltato da qualche avversario politico per invocarne le dimissioni, «come Tavecchio». Anche se il suo ruolo è sembrato semmai simile a quello di Ventura, selezionatore con una grande esperienza nel lanciare i giovani, ma tradito al dunque proprio dal non aver avuto fiducia (o coraggio) nel giovane Insigne. Laddove Gozi, invece, è un ex funzionario della Farnesina che, per amor di politica e di Prodi, all'epoca presidente Ue, lasciò nel 2006 il posto dorato di consigliere del Principe (a Prodi era subentrato Barroso), per tentare la scalata ministeriale. Oggi, alle soglie dei cinquant'anni, il sottosegretario pluridecorato, che Renzi reclamò per sé e con sé alla presidenza del Consiglio, si potrebbe definire il nostro Macron in sedicesimo (considerato che non abbiamo neppure il presidenzialismo alla francese). Non solo perché è vero amico di Emmanuel, frequentato con assiduità negli anni della sua «cattività parigina» cominciata con un Erasmus. Ieri Gozi compariva nei selfie con Matteo ed Emmanuel all'Eliseo, entrambi entusiasti dell'idea che Sandro gli aveva appena squadernato: quella di liste «transanazionali e tematiche» alle prossime Europee, per occupare i 75 posti lasciati vuoti dalla Brexit. Non è la prima volta che capita: di Macron, Gozi condivide idee e politiche soprattutto perché è stato il transalpino a rubarle e metterle in pratica. Questo è il suo vanto. Ma c'est la vie, verrebbe d'aggiungere notando anche in ciò l'evidente peso della suerte. O malaventura che dir si voglia. Com'è stato possibile che un ex brillante funzionario, svezzato a pane e Ue nella brumosa Bruxelles, non ci abbia portato a casa l'ambito trofeo farmaceutico? Gozi era l'uomo giusto al posto giusto, confermano a Palazzo Chigi, e guida più «autorevole» non avrebbe giovato. Un lavoro diplomatico della Farnesina cominciato per tempo, magari però sì. Due mesi fa pare che sia stato sostituito un assente Moavero con Amendola, per dare la sveglia. Quindi Gozi ha rincorso il tempo perduto, come la lepre della favola. Non avrebbe guastato neppure un pizzico di furbizia in più, cercando di far leva (a suon di promesse) sul rammarico degli Slovacchi, per farli schiodare dall'astensione.

«Ma no, impossibile, non c'è riuscito nessuno, né olandesi né francesi, né irlandesi...», si difende Gozi, ora ricalcando davvero il Ventura poco ardito che conosciamo. Eppure con Insigne in campo, lo sappiamo, sarebbe stata tutt'altra cosa.

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