Grave errore dei pm: più lontana la verità sull'omicidio di Saman

Il fratello della pakistana uccisa da papà e zio andava indagato. La corte: verbali inutilizzabili

Screen Quarto Grado
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Un errore da matita blu della Procura di Reggio Emilia rischia di pregiudicare il processo sull'omicidio di Saman Abbas, la ragazza pakistana che sarebbe stata uccisa dal padre Shabbar, dallo zio Danish e da due cugini a Novellara il primo maggio del 2021 perché voleva vivere con un fidanzato inviso alla famiglia, rifiutare un matrimonio forzato in patria e liberarsi da un contesto che ne segregava desideri e ambizioni.

Colpa di una palese violazione dei diritti del fratello della ragazza, il testimone oculare dell'omicidio Ali Heider, che ai magistrati avrebbe rivelato l'orribile verità non da indagato ma da semplice persona informata sui fatti, senza dunque le garanzie riconosciute a chi è iscritto nel registro degli indagati (dal diritto al silenzio alla ragionevole durata delle indagini). E dire che proprio per evitare una prassi consolidata (ti interrogo e poi in caso ti indago se mi fa gioco) la riforma dell'ex Guardasigilli Marta Cartabia aveva ampliato l'articolo 335 del codice che regola l'iscrizione nel registro aggiungendo ulteriori garanzie procedurali, disattese dai pm.

È stata la Corte di Assise di Reggio Emilia a certificare che ciò che avrebbe confessato e messo a verbale il 12, 15 e 21 maggio del 2021 è inutilizzabile: l'interrogatorio avrebbe dovuto tenersi alla presenza di un avvocato, a maggior ragione perché il ragazzo all'epoca delle deposizioni era un minorenne. Nella complessa ordinanza pronunciata dalla presidente della Corte Cristina Beretti (già trasmessa alla Procura per i minorenni di Bologna) si legge che già dall'incidente probatorio a carico del ragazzo emergevano «precisi indizi di correità» (in alcune telefonate intercettate ammise di sapere cosa stavano pianificando padre e zio) «che avrebbero dovuto portare alla sua iscrizione nel registro degli indagati a titolo di garanzia». «È quello che avevamo chiesto noi», confermano Luigi Scarcella, Maria Grazia Petrella e Liborio Cataliotti, difensori dei parenti accusati dal ragazzo che hanno lsollevato la grave anomalia sottovalutata dai pm.

Dovrà dunque essere nuovamente interrogato l'unico custode della verità: fu lui a dire che lo zio Danish gli confessò di aver strangolato Saman e che c'era stata una riunione tra i parenti per pianificare il delitto, fu lui a rivelare ai genitori messaggi e foto sulla relazione sgradita, è lui che ha sfidato la famiglia pur di vendicare la sorella. Una sconfitta sonante per la Procura, una prima vittoria per il padre, lo zio e i cugini di Saman che ora potrebbero farla franca. Enrico Della Capanna, difensore del padre di Saman, è netto: «Senza di lui difficile che la verità adesso venga fuori».

La mancata iscrizione appare un'omissione figlia di un'inerzia ingiustificata e protrattasi nel tempo. In attesa che il Csm apra una pratica per capire i perché della plateale omissione dei magistrati, la vicenda assume il solito retrogusto amaro della malagiustizia. Martedì 31 ottobre sapremo se le sue dichiarazioni verranno ribadite nella loro interezza o peggio, come fa capire il suo legale Valeria Miari, se il ragazzo si avvarrà della facoltà di non rispondere, anche per le pressioni ricevute dai familiari (documentate da alcune intercettazioni), anche se così rischierebbe di finire indagato, alimentando ambiguità che farebbero il gioco di chi non vuole la verità.

Barbara Iannuccelli, che assiste il fidanzato di Saman, incrocia le dita: «Spero che non si tiri indietro e ce la faccia a ripetere ciò che ha visto, lo zio mettere la mano sulla bocca di Saman eccetera... Lo faccia per tutte le Saman che ancora non conosciamo...».

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