Gerusalemme Il generale Yossi Kuperwasser è stato il capo del settore ricerche dell'Intelligence Militare dell'Esercito israeliano e il Direttore Generale del Ministero per gli Affari Strategici. Oggi senior ricercatore del Jerusalem Center for Public Affairs, la sua fama internazionale conduce esperti e politici di tutto il mondo a consultarlo su ogni soggetto legato alle strategie antiterroristiche nel mondo. Gli abbiamo chiesto un parere, nel giorno in cui gli Usa riconoscono Gerusalemme capitale dello Stato d'Israele.
Colonnello, perchè in definitiva è così importante, così fondamentale che l'ambasciata americana sia stata trasferita a Gerusalemme? Non erano già ottimi i rapporti con Trump? Non vi sentivate abbastanza sicuri della vostra capitale?
«Noi non abbiamo mai avuto nessun'altra capitale dall'inizio della storia di Israele, anzi dall'inizio della storia ebraica: Gerusalemme è la nostra capitale da 3000 anni, siamo solo tornati a casa. Ed è così evidente, così testimoniato in mille pietre e libri che proprio per questa evidenza negata abbiamo sofferto: a nessun altro popolo è mai stato negato il diritto di decidere quale sia la sua capitale. Oggi finalmente ci sentiamo soddisfatti».
E adesso cos'è accaduto?
«Adesso la realtà restituisce alla storia il suo ruolo, gli Stati Uniti hanno portato la questione sul palcoscenico della realtà, e questo ci riempie di un quieto senso di soddisfazione di cui siamo ovviamente molto grati al presidente Trump».
In realtà non è stato Trump a promettere per primo che Gerusalemme sarebbe stata riconosciuta: la decisione è del 1995, quando Clinton era presidente. Poi tutti i presidenti americani, Bush, Obama, hanno promesso e non hanno mantenuto. Perché?
«Perché i palestinesi insieme al mondo arabo hanno fortificato con la propaganda la loro narrativa, che si è giovata dall'immensa menzogna che gli ebrei si siano inventati il loro rapporto storico con Gerusalemme, ciò che naturalmente è ridicolo. L'altro aspetto è la minaccia di una rivoluzione gigantesca, una guerra per Gerusalemme come luogo santo per l'islam. Non è accaduto, e non accadrà. Le dinamiche nel mondo arabo sono cambiate, e così i rapporti di Israele con buona parte di esso».
Che cosa porta questo riconoscimento che prima non c'era?
«Una cosa fondamentale per ogni sviluppo politico positivo: un senso di realtà. Gerusalemme è la capitale dello Stato d'Israele e non potrebbe esser diversamente».
I palestinesi vogliono che sia la loro capitale.
«No, questo è solo un punto del loro no allo Stato ebraico. Gerusalemme è per loro il simbolo della negazione della nostra presenza complessiva qui».
Ma gli arabi abitano parte di Gerusalemme.
«Certo, lo sappiamo
bene e si deve onorare questa realtà: Trump peraltro ha detto che il riconoscimento non nega affatto uno sviluppo futuro che porti al tavolo di pace e stabilisca poi gli accomodamenti sulla base anche di questa realtà». FN
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