Può succedere. Ed è successo. Anche uno dei più apprezzati sindacalisti per pragmatismo e buonsenso, come Maurizio Landini, può cadere sulla buccia di banana del populismo. È successo ieri. Con un'intervista a Repubblica dove il segretario generale della Cgil ha chiesto al governo un passo indietro sull'obbligatorietà del green pass nei luoghi di lavoro. Il ragionamento del sindacalista è semplice: sì ai vaccini ma no a sanzioni o azioni vessatorie e discriminanti nei confronti di quei lavoratori che non possono esibire il green pass. Dietro questo metodo di controllo sanitario il leader della Cgil vede, insomma, uno strumento che - al momento giusto - potrebbe rendere più debole la posizione del dipendente di fronte al suo datore di lavoro. Due gli argomenti forti del ragionamento di Landini: la scuola e le mense aziendali. Queste ultime sono state paragonate ai ristoranti. Quindi l'accesso nei locali della mensa è consentito solo a chi è munito di green pass. «Mi domando - dice il segretario della Cgil - se chi ha deciso questa regola sia stato negli ultimi tempi dentro una mensa aziendale. Lì ci sono i turni, il plexiglass, la sanificazione periodica. Non sono un ristorante ma un servizio per chi lavora. Se il governo pensa che il vaccino debba essere obbligatorio, lo dica e approvi una legge. Non si può pensare di raggiungere il medesimo obiettivo in maniera surrettizia, a danno di chi lavora». E in questa categoria mette anche il personale scolastico che rischia, senza il green pass, la sospensione. Servono politiche strutturali - dice - su trasporti pubblici, sull'edilizia scolastica e sul personale scolastico. Non il green pass obbligatorio. Insomma la Meloni e Landini si trovano dalla stessa parte della barricata. Praticamente contro tutti a eccezione di Liberi e Uguali che, con Francesco Laforgia, ricorda che «il green pass è una misura fondamentale per incentivare la vaccinazione». «Quanto al renderla obbligatoria sui luoghi di lavoro - dice il senatore di LeU - se ne può ragionare, ma solo se sapremo impedire che diventi uno strumento nelle mani di chi cerca solo scuse per licenziare più facilmente».
Da Italia viva a Forza Italia, passando per il Pd di Andrea Orlando (che proprio ieri si è trovato di fronte Landini nell'incontro organizzato al ministero del Lavoro sulla riforma degli ammortizzatori sociali), tutti i partiti della maggioranza respingono le parole di Landini. «No al populismo, serve serietà» tuona Carlo Calenda di Azione. «Landini si è confuso - commenta il capogruppo in Senato di Italia viva, Davide Faraone - Inaccettabile è andare al lavoro non in sicurezza». «Difendere e tutelare i lavoratori - scrive su Twitter, Sandra Zampa responsabile Salute del Pd - significa invitarli a vaccinarsi non fingere che vada bene non farlo. Landini perde una buona occasione per innovare la cultura sindacale e il rapporto della Cgil con iscritti e lavoratori».
Intanto una mano tesa a Landini la offrono i Cinque Stelle e la Lega, che chiedono una riflessione sugli aspetti sanzionatori riguardanti i professori che non presentano il green pass. Il partito di Salvini, a esempio, è al lavoro - annuncia il sottosegretario all'Istruzione, Rossano Sasso - su una modifica del decreto.
«Occorre una riflessione politica sul carattere impositivo della norma - spiega Sasso - Siamo sicuri che sospendere i docenti sprovvisti di green pass e lasciarli senza stipendio sia la mossa giusta? Siamo proprio certi che i dirigenti scolastici abbiano mezzi e uomini per trasformarsi anche in vigilanti, pena essere sanzionati anche loro?»
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