«Bla bla bla» verde. Greta si è stancata. L'attivista svedese ormai è un marchio globale, dialoga a tu per tu con capi di Stato e leader religiosi, buca ancora lo schermo e i social con trovate comunicative di prim'ordine, eppure a 18 anni compiuti (il 3 gennaio saranno 19) la sua stella sembra sul punto di offuscarsi, per essere magari soppiantata da una nuovo astro nascente, una 24enne di nome Vanessa e di colore, tributaria di un'autentica standing ovation nel primo giorno «Youth4Climate».
Le due giovani sono state le star indiscusse del prologo di questo grande evento milanese di tre giorni, in cui centinaia di giovani si sono dati appuntamento per discutere delle strategie per combattere il cosiddetto «riscaldamento globale». Il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, che ha aperto la kermesse, le ha definite «personaggi iconici» della lotta al cambiamento climatico. Ad ascoltarle in estasi, a meno di una settimana dal voto per le Comunali, il sindaco Giuseppe Sala, riscopertosi verde: «Si parte delle città» ha detto, facendosi forte delle misure adottate in un fazzoletto di Milano, cuore di una pianura padana che peraltro da oltre 20 anni vede migliorare la qualità dell'aria. «Basta con questo fashion green» lo ha liquidato il rivale, Luca Bernardo.
Magliettina azzurra a maniche corte, giacchetta legata alla vita e scarpe da ginnastica intonate, Greta ha esordito con un colpo a effetto. «Non si può più andare avanti con il bla bla bla». Greta è stufa dei bla bla bla, cioè dei discorsi. É stato, insomma, il suo, il giorno dell'impazienza. «Le nostre speranze e sogni - ha avvertito - annegano in tutte queste vuote parole e promesse» (dei leader)». «Sono 30 anni che sentiamo bla bla bla e dove siamo?». Quindi, ha concluso arringando la platea con una raffica di interrogativi retorici e risposte assertive. «Cosa vogliamo? Giustizia climatica. Quando la vogliamo? Ora. Noi vogliamo un futuro sicuro e una giustizia climatica» ha detto, evocando inconsapevole il «tutto e subito» di altre stagioni.
Ma poco prima di lei, aveva appena finito di parlare la nuova «amica», Vanessa, attivista ugandese. Un intervento - il suo - che ha insistito molto sulle disuguaglianza sociali, sugli effetti del «cambiamento climatico» e sui costi diversi, da Paese a Paese. «Vivo in Uganda - ha detto - un Paese che ho visto soffrire molto per l'impatto dei cambiamenti climatici. Per tradizione storica l'Africa è responsabile solo 3% emissioni Co2, ma gli africani subiscono impatti più negativi: uragani, inondazioni, siccità».
E alla fine del suo discorso, tornando al suo posto, si è commossa per gli applausi ricevuti. Vanessa ha fatto capire qual è l'antifona in tema di «aiuti». Non saranno più tali, ma risarcimenti. «Servono finanziamenti - ha avvertito - ma non prestiti, ma sussidi a fondo perduto». «Non vogliamo conferenze vuote, dovete mostrarci il denaro».
Il suo slogan è «we cannot eat coal, we cannot drink oil»: non possiamo mangiare carbone e bere petrolio. Vanessa non vuole solo meno emissioni, Vanessa batte cassa a nome dell'Africa, e ha appoggiato ovviamente i movimenti «antirazzisti», compresi quelli ambigui come il «Blm». «Sono un attivista per il clima - ha scritto lo scorso anno - Ma ho assaggiato il razzismo a modo mio. Sto ancora combattendo per l'azione per il clima. Ma non posso tacere in un momento in cui le vite dei neri sono in pericolo. Sono sempre stati in pericolo. Mi unisco a tutti gli altri per dirvi che BlackLivesMatter»
Una Greta non europea, ugandese, e più «sociale», non può che avere un'autostrada mediatica davanti a sé.
E ora i volti planetari della giustizia climatica (e sociale!) sono due. «Al di là dei modi di esprimersi diversi, legati anche a fattori generazionali, sono state dette le stesse cose» ha assicurato il ministro. «Vanessa Nakate e Greta Thunberg hanno detto due cose importanti».
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