Il «rischio» è assuefarsi «alle immagini degli orrori». Non bisogna «chiudere gli occhi» di fronte ai massacri di Bucha, Mariupol e Irpin, ma occorre «prudenza» nelle definizioni, come quella di genocidio, perché «le parole possono essere terribili come proiettili». Parla al Giornale l'arcivescovo di Mosca, monsignor Paolo Pezzi, e invita alla preghiera, chiedendo a tutti i leader religiosi, compreso Kirill, di invocare la pace.
Eccellenza, cosa suscitano in lei le immagini dei massacri di Bucha e Mariupol?
«Le immagini portano con sé un rischio terribile: l'assuefazione. Ricordo immagini dai Balcani negli anni 90, e dalla Siria nello scorso decennio: alla fine nei canali d'informazione il flusso di notizie era divenuto una routine, o peggio ancora una possibilità di fare i propri interessi da parte di qualcuno. In questo senso è molto importante che l'informazione si implichi nel dolore che queste immagini provocano. Penso che sia necessario lasciarsi ferire da queste immagini e condividerlo con le persone che soffrono o che ci sono vicine».
Come vive la guerra la comunità cattolica?
«La comunità cattolica in Russia vive nella preghiera, nel digiuno e nel tentativo di mostrare una possibile convivenza di pace».
Si può parlare di genocidio?
«Penso che si debba essere prudenti con le definizioni. Occorre un processo di riconciliazione e purificazione della memoria quando tutto ciò sarà finito. Un esempio positivo mi pare sia stato tale processo in Sud Africa».
Il presidente Usa chiede che Putin sia giudicato per crimini di guerra. Cosa ne pensa?
«In generale i leader mondiali dovrebbero essere un po' più prudenti. Un tempo la prudenza era una virtù politica, oggi mi sembra che sia divenuta merce rara, mi pare si sia troppo emotivi e istintivi nelle parole».
Di fronte a queste atrocità, c'è ancora spazio per la diplomazia?
«Innanzitutto penso che, almeno da persone religiose, si dovrebbe riflettere sul peso e sulla forza della preghiera. Se la preghiera non ottiene nulla, forse qualche domanda dovremmo farcela. Riguardo alla diplomazia, se essa è vissuta come ricerca del bene maggiore o del male minore non si deve mai demordere. Se è invece la ricerca cinica di un proprio interesse di parte, allora c'è da augurarsi che finisca il prima possibile».
Il Papa non ha mai puntato il dito esplicitamente contro Putin. Secondo lei chi ha le responsabilità di questa guerra?
«La questione della responsabilità è piuttosto seria e complessa: per esempio potremmo dire, come di fatto è, che la Russia è entrata in armi nel territorio ucraino, ma ci verrebbe anche risposto che era una propria responsabilità difendere il proprio popolo da un'aggressione. Non voglio fare speculazioni accademiche, solo penso che le responsabilità debbano essere esposte su un tavolo di dialogo, e affrontate dal punto di vista del desiderio della verità storica, della misericordia e del perdono. Forse è per questo che la Santa Sede non fa nomi prima di una condanna oggettiva e definitiva degli organi competenti».
Cosa pensa delle dichiarazioni di Kirill che parla di guerra giusta?
«Penso che noi uomini di chiesa dovremmo essere predicatori e testimoni del perdono e della misericordia, fattori essenziali per la pace e per la ricostruzione dei rapporti tra le persone e i popoli».
In Russia la legislazione sembra ormai vietare la libera espressione del pensiero, ci sono stati 15mila arresti. Che spazi di libertà sono rimasti?
«Occorre riflettere su ciò che rende liberi.
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