Guerra di toghe su Mps. Quella falsa perizia che salvò Profumo e Viola

La vittima sarebbe la Procura generale di Milano, che commissionò la consulenza

Guerra di toghe su Mps. Quella falsa perizia che salvò Profumo e Viola

Carte rimaste ferme per anni nella Procura di Milano. Carte che secondo la Procura generale - superiore gerarchico della Procura, chiamata a vigilare sul suo operato - dimostravano come intorno al lungo dissesto del Monte dei Paschi di Siena si fosse verificato un caso senza precedenti di accanimento assolutorio, con un trattamento inspiegabilmente benevolo da parte degli inquirenti milanesi verso i massimi vertici di Mps, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, nominati dal governo Renzi per mettere ordine e proseguiti invece nell'opera di occultamento dei conti reali. Quando, il 13 novembre, il procuratore Francesco Greco va in pensione al suo posto, in attesa del nuovo capo, va il più anziano dei vice, Riccardo Targetti. È Targetti a trovarsi sul tavolo le carte rimaste ferme per anni. Targetti, si dice, trasecola. E decide di trasmettere tutto a Brescia, alla procura che giudica i reati commessi o subiti dai magistrati milanesi.

Tra le carte Targetti trova la richiesta della Procura generale di incriminare per avere falsificato la perizia Mps Roberto Tasca e Lara Castelli, i due consulenti che avevano firmato la perizia che scagionava Profumo e Castelli. Quella richiesta è rimasta lettera morta, la procura di Greco non ha mai proceduto all'iscrizione di Tasca (docente universitario, già assessore al Bilancio del sindaco Beppe Sala, consulente di fiducia degli inquirenti milanesi) nel registro degli indagati. Ora a incriminare Tasca e la sua collega Castelli ha provveduto la Procura di Brescia per un motivo senza precedenti: la vittima della falsa perizia sarebbe Gemma Gualdi, il sostituto procuratore generale di Milano che quella consulenza aveva commissionato fidandosi di Tasca, e che ne avrebbe ricevuto invece una sfilza di omissioni.

In realtà poco dopo averla ricevuta, la Gualdi si era resa conto che molto nella perizia non quadrava. A partire dalla omissione più vistosa: non si faceva alcun cenno alla relazione della Banca centrale europea che al termine della ispezione del 2 giugno 2017 aveva certificato l'esistenza di un megabuco da 7 miliardi e mezzo per crediti inesigibili privo di accantonamenti e concludendo drammaticamente «il Monte dei Paschi di Siena, la più antica banca de mondo, è esposta a rischi tali da pregiudicarne l'esistenza». Eppure la Procura di Milano chiede l'archiviazione delle indagini su Viola e Profumo. E archivia direttamente lei stessa, come la legge le consente, tutte le indagini a carico di Mps come ente giuridico. Quando la Procura generale si rende conto che tutto è basato su un clamoroso falso, chiede a Greco di revocare quei decreti di archiviazione. Ma anche quella richiesta, come quella di incriminare Tasca, resta lettera morta: fino a quando Greco non va in pensione e Targetti prende il suo posto.

Ora sono tutti indagati a Brescia: Greco, i suoi consulenti, i Pm che lavoravano con lui. Le carte arrivate da Milano si aggiungono a quelle che Brescia aveva già in mano, gli esposti del consulente dei piccoli azionisti Mps Giuseppe Bivona, che fin dal 2020 definiva le affermazioni di Tasca «fantasiose».

Sbrogliare questa matassa si annuncia difficile. Un dato è oggettivo: le due inchieste più importanti della Procura di Milano, quelle su Eni e su Mps, si sono trasformate in una guerra tra toghe.

Ma se l'accanimento accusatorio su Eni aveva una sua linearità, per Mps la domanda è opposta: perché si dovevano salvare a tutti i costi Profumo e Viola? Il fatto che la Bce nel 2017, all'epoca della relazione sparita, fosse presieduta dall'attuale capo del governo italiano dà corpo, inevitabilmente, al fantasma della «ragion di Stato».

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