Hamas delusa da Hezbollah «Un supporto insufficiente» Pesano le esitazioni dell'Iran

I terroristi palestinesi contano sul secondo fronte. Ma Teheran (per ora) non rischia la risposta americana

Hamas delusa da Hezbollah «Un supporto insufficiente» Pesano le esitazioni dell'Iran
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La chiamano «wihdet al-sahat». In arabo significa più o meno «unità del campo di battaglia». E i capi di Hamas ci contavano molto. Ma finora i «fratelli» libanesi di Hezbollah, il «Partito di Dio», non hanno esaudito le loro aspettative. E così i fondamentalisti di Gaza rischiano di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. O meglio con un mare di rovine sopra la testa e i soldati israeliani alle porte della loro Gaza sotterranea.

Certo dire che al confine con il Libano non si combatta sarebbe improprio. I missili di Hezbollah e quelli di Israele incrociano le loro traiettorie da ormai quindici giorni. E neppure ieri si sono risparmiati i colpi. I miliziani sciiti hanno bersagliato con razzi anticarro i moshav e i kibbutz israeliani al confine ferendo due lavoratori thailandesi. Il tutto mentre gli obici e i droni della Forze di Difesa israeliane rispondevano colpo su colpo. E ad assicurare l'immediata reazione di Israele in caso di escalation ci ha pensato il ministro della Difesa Yoav Gallant. «Hezbollah ha deciso di unirsi al combattimento e sta pagando un prezzo per questo, ma dobbiamo prepararci a ogni eventualità. Ci aspettano grandi sfide», ha sottolineato Gallant durante un incontro con il generale Shai Klapper comandante della «Divisione 91» responsabile della zona di frontiera. L'avvertimento del ministro israeliano è l'indiretta conferma di come gli scontri con Hezbollah, seppur a tratti pesanti e sanguinosi, non si siano ancora trasformati in guerra vera. E questo manda in bestia i capi di Hamas convinti che gli eventi del 7 ottobre e la reazione di Israele su Gaza avrebbero spinto Hezbollah a concretizzare la tanto promessa «unità del campo di battaglia». Parlando dal dorato esilio del Qatar l'ex-leader di Hamas all'estero Khaleed Meshal e il numero due Musa Abu Marzouk hanno espresso il loro disappunto per le mancate promesse dell'organizzazione sciita. «La reazione dell'asse della resistenza è deludente», ripete da giorni Abu Marzouk. Meshaal sottolinea, invece, come «i passi di Hezbollah, Iran e Siria siano insufficienti». Il riferimento di Meshaal all'Iran serve a comprendere non solo le esitazioni del Partito di Dio, ma anche lo stallo dei pasdaran attestati al confine siriano e l'attendismo delle altre forze sciite della regione. Forze che fatto salvo qualche simbolico lancio di missili dallo Yemen, dall'Iraq e dalla Siria si sono, fin qui, ben guardate dal dichiarare guerra aperta a Israele e agli Stati Uniti.

L'ultima parola riguardo le mosse di tutti questi alleati, Hezbollah compreso, spetta sempre e solo a Teheran. Ma la presenza di ben due squadre navali statunitensi guidate dalla portaerei Ford ed Eisenhower davanti alle coste libanesi rende assai prudente la dirigenza iraniana. Un intervento statunitense in risposta ad un attacco di Hezbollah rischierebbe di ridimensionare seriamente il Partito di Dio. E alla sconfitta militare s'aggiungerebbe, probabilmente, l'impossibilità di mantenere il ventennale controllo sulla regione libanese. Il tutto rappresenterebbe una «debacle» cruciale per Teheran.

Anche perché la capacita dell'Iran di influenzare le opinioni pubbliche mediorientali e di esercitare un ruolo di potenza regionale discende proprio dalla capacità di esercitare una minaccia diretta su Israele attraverso gli alleati di Hezbollah e la presenza militare in Siria. Due assetti che nei calcoli della dirigenza sciita di Teheran valgono, per ora, ben più di Gaza e dei palestinesi sunniti di Hamas.

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