
Sei ostaggi vivi saranno liberati sabato e si ritiene che siano gli ultimi rapiti sopravvissuti alla prigionia a Gaza sui 33 da rilasciare nella prima fase dell'accordo di tregua. I corpi di altri quattro ostaggi, morti durante i 16 mesi di guerra tra Israele e Hamas, saranno consegnati domani, giovedì. Eccolo l'ultimo accordo raggiunto fra i due belligeranti, che ha permesso a Israele di strappare il ritorno di altri 6 ostaggi vivi rispetto ai tre previsti in un primo momento. Fra i nomi di chi farà ritorno in Israele ci sono, oltre a quelli di Omer Wenkert, Omer Shem Tov, Eliya Cohen e Tal Shoham, anche quelli di due rapiti che si trovano a Gaza da ben 10 anni, Avera Mengistu e Hisham al-Sayed, prova vivente non solo della ferocia ma anche dell'ostinazione degli islamisti. Hamas annuncia invece il rientro domani dei cadaveri dei tre membri della famiglia Bibas: la mamma Shiri, oggi 33 anni, i figli Kfir e Ariel, ormai 2 e 5 anni, di cui il gruppo estremista ha proclamato la morte nel novembre 2023 sostenendo che fosse avvenuta a causa di un raid israeliano. Una circostanza che Israele non ha mai confermato. Il padre dei Bibas, Yarden, 35 anni, è stato liberato il primo febbraio. La speranza di tutta Israele era che la famiglia si riunisse. Ma Hamas continua a diffondere notizie opposte e i familiari dei Bibas si dicono «in subbuglio» ma non smettono di sperare: «Fino a che non riceveremo conferme definitive, il nostro viaggio non sarà terminato».
Nelle sue dichiarazioni, Hamas preme per l'inizio della seconda fase della tregua, imputando a Israele il ritardo nel via ai negoziati, che avrebbero dovuto cominciare il 3 febbraio. Il ministro degli esteri israeliano Gideon Saar ha annunciato che le trattative partiranno «in settimana» e prevedono il ritorno di altri 24 ostaggi ancora in vita ma anche la «smilitarizzazione» della Striscia. «Israele non accetterà nessuno scenario in cui i gruppi terroristici di Gaza mantengano le armi - ha spiegato il ministro. Un modello Hezbollah a Gaza non sarebbe accettabile per Israele». Alcuni media israeliani fanno notare che la delegazione israeliana non ha ricevuto dal Gabinetto di sicurezza un mandato per discutere i dettagli della seconda fase, ma solamente un incarico «generale». Israele starebbe cercando di prolungare di due o tre settimane la prima fase e secondo Channel 12 e Haaretz a guidare i colloqui non saranno più i capi di Mossade Shin Bet, ma il ministro per gli Affari strategici Ron Dermer.
I Paesi arabi si muovono intanto per un piano alternativo a quello proposto da Donald Trump per il futuro di Gaza. Rinviato al 4 marzo il vertice straordinario della Lega Araba, che si sarebbe dovuto tenere al Cairo la prossima settimana sulla crisi a Gaza, domani il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi si recherà a Riad, in Arabia Saudita, per illustrare il progetto arabo, che prevede un investimento di 20 miliardi di dollari da parte degli Stati arabi e del Golfo. Al Sisi pensa anche alla formazione di un comitato palestinese che possa governare Gaza senza il coinvolgimento di Hamas e vorrebbe una partecipazione internazionale alla ricostruzione.
Dal Libano, intanto, arriva il rimbrotto a Israele di Onu e Unifil, dopo che l'Idf ha affermato che le sue truppe rimarranno in una zona cuscinetto di 5 località, nonostante la scadenza del termine fissato dall'accordo di tregua con Hezbollah per il ritiro. Per le Nazioni Unite «qualsiasi ritardo» viola la risoluzione 1701. Per i leader libanesi è «occupazione».
Ma Israele conferma tramite il ministro della Difesa Israel Katz la sua permanenza in cinque avamposti strategici e che «continuerà ad agire con forza e senza compromessi contro qualsiasi violazione da parte di Hezbollah», a cui intima di «ritirarsi completamente oltre la linea del fiume Litani».
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