Cinque anni dopo, le richieste non sono cambiate. «Più democrazia» chiedono dalle piazze di Hong Kong. Almeno 72 le persone ferite, due sarebbero in gravi condizioni, nelle manifestazioni contro la controversa legge di estradizione verso la terraferma cinese. Gli ombrelli, le mascherine, i volti seri e giovanissimi di chi protesta. Di chi rischia. Qui scendere in piazza non è facile, per cultura e per paura. Partono i lacrimogeni, i proiettili di gomma, stesso copione che si ripete come cinque anni fa. Il tempo che non sembra essere passato. Non cambia nulla.
Hong Kong rivive una nuova Occupy. Come quella del 2014 quando il centro si paralizzò con la gente in strada a chiedere più democrazia. Ieri pomeriggio, dopo ore di stallo e la paralisi del centro, la polizia in tenuta antisommossa ha iniziato a sparare lacrimogeni, avanzando compatta con le maschere antigas per rompere l'assedio e le barricate improvvisate, usando spray urticante, manganelli e proiettili di gomma contro i manifestanti, alcuni dei quali armati con pietre e bastoni. Alcune persone sono state arrestate, altre portate via in ambulanza.
Una escalation attesa, vista l'evoluzione delle ultime ore. Le strade dell'ex colonia britannica, annessa alla Cina dal 1997, sono state invase dalla più imponente manifestazione di piazza negli ultimi tre decenni, un'enorme marcia contro la legge che domenica scorsa ha portato in strada un milione di persone. Tutti per dire no alla legge che permetterebbe di estradare in Cina i «sospetti», sottoponendoli al processo dei tribunali nazionali. La maggioranza filo-cinese, capeggiata dal capo esecutivo Carrie Lam, sostiene che le nuove regole siano necessarie per colmare un vuoto legislativo ed evitare che la città-stato diventi un «rifugio per criminali» generici. «Le azioni rivoltose sono inaccettabili per qualunque società civilizzata». Secondo il nuovo impianto legislativo, l'estradizione sarebbe prevista per tutti i sospetti accusati di un crimine con pena superiore ai sette anni di detenzione. Il via libera alla consegna alla Cina sarebbe di responsabilità del capo esecutivo dopo una prima lettura dei tribunali.
I critici denunciano le ingerenze di Pechino e la violazione dello statuto speciale che era stato concesso al paese 22 anni fa. Il testo è stato presentato il 10 giugno. La seconda lettura, prevista ieri è stata rinviata per le manifestazioni che hanno mandato la città in tilt. Il timore è che si vada a incrinare l'indipendenza giudiziaria che ha disciplinato l'esperimento del «one country, two sytems»: la convivenza sotto a un paese unico (la Cina) di due sistemi diversi (Cina e Hong Kong).
Già nel 2014 la città-stato, era stata paralizzate per 79 giorni da manifestazioni per un'apertura democratica del paese: la cosiddetta Rivoluzione degli ombrelli, una mobilitazione per ottenere il suffragio universale completo alle urne, chiamata così per l'uso di parapioggia in difesa dai fumogeni della polizia. Oggi sono ricomparsi: «Avevamo detto che saremmo tornati, siamo tornati».
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