Hong Kong, Lam cede: "Tolta l'estradizione". La protesta non si ferma

Il leader Wong: «Troppo poco e troppo tardi» E chiede le dimissioni della governatrice

Hong Kong, Lam cede: "Tolta l'estradizione". La protesta non si ferma

Sembra la classica applicazione della tattica del bastone e della carota, in cui alle minacce si fanno seguire le blandizie.

Appena due giorni fa, il governo di Pechino aveva minacciato fuoco e fiamme a Hong Kong, facendo balenare la prospettiva dell'imminente introduzione di leggi d'emergenza per sedare la rivolta anticinese nella ex colonia britannica. Non tollereremo oltre il dilagare di comportamenti illegali che sconfinano nel terrorismo, aveva detto il portavoce del ministero cinese che si occupa delle «regioni speciali» di Hong Kong e di Macao, dove per altri 28 anni la Cina si è impegnata a rispettare le libertà democratiche secondo lo slogan «un Paese-due Sistemi».

Ieri, prendendo tutti un po' sorpresa, la detestata Carrie Lam, capo dell'amministrazione di Hong Kong controllata da Pechino, ha annunciato invece una misura che sembra andare incontro per quanto possibile alle attese dei manifestanti che da 14 settimane hanno trasformato la città in un vulcano in ebollizione: il ritiro ufficiale del progetto di legge sull'estradizione in Cina dei cittadini di Hong Kong che aveva innescato la rivolta fino a veder scendere per le strade fino a due milioni di persone in una sola volta. Ma la risposta dei contestatori non è stata quella sperata: le proteste continueranno.

La signora Lam, che non prende un'iniziativa senza che i suoi padroni di Pechino l'abbiano approvata, è comparsa in un video nel quale, dopo aver lamentato la gravità di tre mesi di caos, ha annunciato una serie di provvedimenti che sono almeno in apparenza altrettante concessioni alle attese dei contestatori: la promessa di ritirare il progetto di legge sull'estradizione, il rafforzamento di un comitato che si occuperà di regolare i poteri della polizia (accusata di gravi violenze dai manifestanti), aprire un tavolo di colloqui con i leader delle proteste e perfino offrire disponibilità ad ascoltare suggerimenti per migliorare l'azione di governo.

Può sembrare moltissimo, viste le premesse, ma manca qualcosa di essenziale. Il vero problema di Carrie Lam (che non a caso ha dichiarato in privato il suo disperato desiderio di dimettersi) non sta nell'ampiezza delle concessioni che è disposta a fare a chi la contesta. Esso consiste, invece, nei limiti rigidi del suo ruolo, che è quello di gestire istituzioni fintamente rappresentative il cui scopo è di garantire che le leve del potere a Hong Kong restino nelle mani del partito comunista cinese.

La signora Lam, quindi, può promettere di rimangiarsi la legge che aveva fatto capire ai cittadini di Hong Kong che un altro pericolosissimo passo stava per esser compiuto verso la fine delle loro (ormai relative) libertà civili, ma non può concedere ciò che ormai i suoi riluttanti amministrati pretendono: libertà vere. Ecco dunque perché i leader delle proteste hanno risposto picche: è troppo tardi.

I cittadini di Hong Kong pretendono le dimissioni della Lam, il diritto di scegliersi liberamente un leader, il ritiro delle gravi accuse di rivolta e il conseguente rilascio delle centinaia di arrestati, inchieste serie sugli

abusi di polizia. In mancanza di questo, come ha detto ieri il leader Joshua Wong, quella di ieri non sarà considerata una vittoria e la lotta continuerà. Con il forte rischio di un ritorno del bastone al posto della carota.

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