Un'altra mazzata a ciò che resta delle libertà civili e democratiche a Hong Kong. Anzi, due. Utilizzando ora il pretesto della pandemia di Covid-19, l'ombrello offerto dalla liberticida «legge sulla sicurezza nazionale», le autorità filocinesi della ex colonia britannica hanno preso nel giro di poche ore due decisioni che avvicinano ulteriormente nel senso peggiore possibile Hong Kong alla «madrepatria cinese» comunista cui intendono a rapidi passi assimilarla.
La prima, e più grave, novità riguarda la legge elettorale nel territorio della metropoli. Con un voto quasi unanime del Parlamento locale, è stato deciso di modificarla in senso antidemocratico: i deputati passeranno da 70 a 90, ma solo 20 di questi saranno eletti dai cittadini (fino a oggi erano 35, cioè la metà, il che rendeva teoricamente possibile un ruolo politico attivo per l'opposizione che ora sarà impraticabile anche aritmeticamente). Altri 40 verranno invece designati da un apposito comitato formato dal governo di Pechino, mentre i restanti 30 saranno espressione di gruppi d'interesse prevalentemente economici, tradizionalmente controllati dal regime cinese. Questo voto, che di fatto autoesautora un Parlamento locale che già con la legge precedente era solo in parte rappresentativo della volontà popolare, è stato reso possibile dall'abbandono dei propri seggi negli scorsi mesi da parte della quasi totalità dei deputati non comunisti. La crescente repressione di qualsiasi opposizione politica è stata resa possibile dall'entrata in vigore, il 1° luglio dello scorso anno, della famigerata legge sulla sicurezza nazionale che legalizza la persecuzione degli oppositori come «nemici di Stato».
Stesso trattamento di «pulizia politica» verrà attuato nei confronti del Comitato elettorale, organo che ha il compito di eleggere il governatore di Hong Kong. Sarà dunque la Cina a scegliersi deputati e governatore, trasformando le elezioni in una tipica parodia da regime monopartitico. Con l'ipocrisia che la contraddistingue, la governatrice Carrie Lam che risponde del suo operato a Pechino ha dichiarato che l'organismo, ovviamente non eletto ma designato dal Partito comunista, che deciderà chi avrà diritto di candidarsi, «non discriminerà nessuno sulla base delle opinioni politiche, ma escluderà solo sulla base del patriottismo».
La seconda brutta notizia per gli abitanti di Hong Kong è quella del divieto, per il secondo anno consecutivo, di tenere una veglia il 4 giugno per commemorare le vittime del massacro di piazza Tienanmen nel 1989.
Un anno fa il pretesto era stata la salvaguardia della pubblica salute, questa volta chi intendesse partecipare alla manifestazione verrebbe arrestato e processato come nemico dello Stato comunista cinese. Il comitato organizzatore ha invitato ad accendere una candela alle ore 20 del 4 giugno, «ovunque voi siate».
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