Il triangolo no. Lo cantava Renato Zero, ci fa i conti il ministro della Giustizia Carlo Nordio, costretto ad accelerare i tempi della mancata estradizione negli Usa dell'ingegnere svizzero iraniano Mohammad Abedini Najafabadi per rispettare i complessi accordi trilaterali (Iran-Italia-Usa) alla base della liberazione di Cecilia Sala. Ma nel triangolo Abedini il lato oscuro resta quello statunitense.
Stando a fonti del Giornale, proprio la complessità degli accordi stipulati con gli apparati di sicurezza di Washington - dopo l'intesa di massima raggiunta da Giorgia Meloni e Donald Trump a Mar-a-Lago - avrebbe spinto Nordio a non aspettare la decisione della Corte d'Appello di Milano sugli arresti domiciliari dell'iraniano. La fretta era d'obbligo, comunque, anche per rispettare l'intesa Meloni e Trump. La condizione di Donald era che la mancata estradizione non fosse vista in alcun modo come una mancanza di rispetto nei confronti della sua amministrazione. Quindi più lontano restava dall'insediamento ufficiale del 20 gennaio, meglio era. Ma lo stesso rispetto era dovuto anche al presidente uscente Joe Biden, atteso a Roma tra sabato e ieri. Saltata la sua visita a causa dei roghi di Los Angeles - si è deciso che la scelta migliore era non attendere l'ormai superflua decisione della Corte d'Appello di Milano, e rimandare a casa Abedini otto giorni prima dell'insediamento di Trump.
Se da una parte «pacta sunt servanda», dall'altra il nostro governo e i nostri servizi di sicurezza non possono trascurare le possibili conseguenze dei complessi, e per molti versi arditi, accordi presi per riportare a casa Cecilia Sala.
La prima riguarda l'incolumità e la sicurezza dei circa 540 connazionali rimasti a Teheran. E con loro quella dei tanti italiani residenti in Paesi dove governi e forze di sicurezza non si fanno scrupoli a forzare il diritto internazionale. La grande preoccupazione è, insomma, che d'ora in poi per Teheran, o regimi analoghi, valga la regola per cui l'arresto di un italiano è il modo più efficace per ottenere ascolto da Roma. Certo il comportamento dell'Italia non è stato diverso da quello di altri Paesi. L'America di Obama prima, Trump poi e Biden oggi è stata la prima a ricorrere a scambi di detenuti per riavere i propri connazionali. E allo stesso modo si sono mossi Regno Unito, Francia e Svezia. Tutti questi precedenti hanno però richiesto mesi o addirittura anni. La velocità con cui ha agito l'Italia è stata, invece, sorprendente ed ha attirato l'attenzione di amici e nemici. E proprio questo, secondo la nostra intelligence, ci espone a dei rischi.
Restano inoltre i problemi non risolti, o solo parzialmente risolti, con gli apparati di sicurezza statunitensi. L'accordo raggiunto da Giorgia Meloni e Donald Trump non ha fatto piacere ai vertici di un Fbi che aveva seguito il caso di Abedini e l'aveva legato all'uccisione di tre soldati americani caduti in un attacco con droni condotto al confine giordano siriano. La fretta con cui si sta chiudendo tutto prevede probabilmente anche una rapida consegna all'Fbi dei documenti sequestrati all'ingegnere svizzero italiano.
Nei responsabili della sicurezza Usa legati all'amministrazione Biden resta però la sensazione di essere stati scavalcati. E questo nel rapporto fra intelligence, anche alleate, è un precedente che rischia di avere conseguenze.
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