Mosca. Nella guerra civile spagnola lo scontro tra le Brigate Internazionali rappresentò il prologo della Seconda guerra mondiale. In Ucraina lo scontro tra mercenari e volontari pronti a battersi da entrambe le parti promette un'insolita e tragica replica della Storia. Secondo il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba almeno 20mila volontari e mercenari, provenienti da 52 paesi, sono già pronti a imbracciare le armi al fianco degli ucraini. E tra questi moltissimi occidentali grazie anche al via libera concesso ai «volontari» da due donne ai vertici della politica europea: la segretaria agli esteri di Sua Maestà Liz Truss e la premier danese Mette Frederiksen.
Ma il Cremlino è pronto a rispondere alla pari. O peggio. Proprio ieri il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha annunciato di avere a disposizione 16mila volontari, reclutati in Siria e in altri paesi mediorientali, pronti a combattere in Ucraina. Secondo Peskov la decisione di arruolare i volontari mediorientali è arrivata dopo il via libera pronunciato dal presidente Vladimir Putin durante l'ultima riunione del Consiglio Presidenziale. La notizia ha una doppia valenza. Dal punto di vista politico il Cremlino, come ha già fatto reagendo punto per punto alle sanzioni e all'invio di armi occidentali, vuole dimostrare di saper rispondere ad ogni mossa avversaria. Così se Europa e Stati Uniti inviano i loro volontari, la Russia è pronta a dispiegare i propri. Ma poi c'è il lato militare. Su questo versante l'impiego di mercenari tempratisi nel conflitto siriano o in altre guerre mediorientali ha una doppia valenza. Da una parte consente di schierare delle truppe da sfondamento addestrate ai sanguinosi combattimenti urbani indispensabili per piegare la resistenza di città come Kiev, Karkhiv o Mariupol. Dall'altra consente di limitare il già elevato numero di caduti russi evitando pericolose perdite di consenso sul fronte interno.
Ma la scelta ha anche evidenti controindicazioni. Spedire nella gelida steppa ucraina combattenti abituati a misurarsi con la polvere e il deserto degli scenari mediorientali può comprometterne seriamente l'efficienza. Per non parlare delle conseguenze dal punto dell'immagine internazionale. Schierare manipoli di feroci combattenti abituati a non andare troppo per il sottile nè con i soldati, nè con i civili rischia di compromettere ulteriormente l'immagine di una Russia già costretta a misurarsi con un'opinione pubblica internazionale pronta a condannarla e ad accusarla di crimini contro l'umanità. Una controindicazione già emersa quando il Cremlino ha avvallato l'arrivo di migliaia di combattenti ceceni messi a disposizione dal discusso leader Ramzan Kadyrov.
Ma da dove arrivano i 16 mila volontari mediorientali citati da Peskov? Il principale e scontato campo di reclutamento è ovviamente la Siria. Qui la Russia dispone del cosiddetto «Quinto Corpo d'Armata» un'unità di circa14mila uomini fondata nel novembre 2016 abituata a coordinarsi esclusivamente con i comandi russi evitando le interferenze dell'Iran, secondo ingombrante alleato di Bashar Assad nella guerra civile siriana.
Impiegato con successo negli assedi di Homs e Aleppo e su tutti gli altri fronti siriani il Quinto Corpo opera agli ordini del quartier generale russo della base di Al Khmeimim e non risponde alle direttive dei comandi siriani. Considerati dei privilegiati in virtù di una paga di 110 dollari mensili, tre volte quella dei soldati governativi, i militari siriani del Quinto Corpo ricevono un miglior addestramento, contano su equipaggiamenti garantiti dal Cremlino, hanno a disposizione i carri armati e i blindati di Mosca e possono contare sull'appoggio tattico dell'aviazione di Mosca.
Grazie a questa esperienza e alla capacità di coordinarsi con i militari russi alcune centinaia di uomini del Quinto Corpo sono già stati impiegati in Libia dalle forze del Wagner
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