I magistrati bloccano il piano con l'Albania. "I clandestini devono tornare subito in Italia"

Il Tribunale non convalida i trattenimenti: gli Stati di provenienza dei migranti non sono "sicuri"

I magistrati bloccano il piano con l'Albania. "I clandestini devono tornare subito in Italia"
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Già oggi una nave della Guardia costiera li riporterà a Bari. È già finita, salvo improbabili colpi di scena, l'avventura in Albania dei 12 migranti che erano stati portati di là dell'Adriatico nelle nuove strutture appena inaugurate con il placet di Tirana. I giudici italiani fanno a pezzi la decisione di Roma e smontano la politica varata dall'esecutivo Meloni. I dodici erano già il frutto di una scrematura effettuata dalle autorità italiane: per evitare contenziosi si era stabilito di riportare in patria quattro stranieri, originariamente parte del gruppo, perché si era scoperto che due di loro erano minorenni altri due vulnerabili. Insomma, non c'erano le condizioni minime per bloccarli in Albania. Ora però la scure della magistratura cala sul trattenimento dei dodici rimasti. In realtà i magistrati romani si sono trovati davanti una sentenza ingombrante come un macigno, arrivata da Bruxelles il 4 ottobre scorso. Il verdetto stabilisce che i paesi considerati sicuri tali non sono se alcune zone sono insicure. E in questo nuovo elenco rientrano in pieno Egitto e Bangladesh, che per le autorità di Roma invece non perseguitavano dissidenti, attivisti o minoranze. A questo punto frana tutto l'impianto: se i 12 arrivano da Stati che non rispettano fino in fondo i diritti fondamentali, allora non si può applicare la procedura accelerata di frontiera, quella appunto prevista in Albania, e pensata per arrivare il più velocemente possibile all'espulsione.

È quello che spiega in un comunicato stampa la presidente della sezione immigrazione del tribunale di Roma Luciana Sangiovanni: «I trattenimenti non sono stati convalidati in applicazione dei principi, vincolanti per i giudici nazionali e per la stessa amministrazione, enunciati dalla recente pronuncia della Corte europea del 4 ottobre 2024, in seguito a un caso sollevato dai giudici della Repubblica Ceca». Insomma, i giudici della capitale, consapevoli di dover affrontare le onde di furibonde polemiche, si fanno scudo di quel vocabolo pesante, vincolanti, come a dire che non avevano margini di discrezionalità. Il diritto della Ue prevale su quello nazionale e costringe la magistratura ad adeguarsi. Siamo dentro un conflitto tecnico politico in cui si sono giocare diverse partite. Già l'8 maggio scorso, prima dunque di quel verdetto europeo, la presidente di Magistratura democratica Silvia Albano era partita in quinta sconfessando il decreto del 7 maggio con cui era stato allargato il perimetro dei paesi considerati sicuri: «Il decreto ministeriale - scriveva Albano - è fonte normativa secondaria e deve rispettare tanto le fonti sovraordinate, come la Costituzione e la normativa della Ue, quanto la legge ordinaria».

Insomma, in quella nota c'era già tutta la strategia del cosiddetto partito dei giudici contro le politiche più restrittive del centrodestra. Un'ala della magistratura sembrava cercare il varco per buttare all'aria gli sforzi di Palazzo Chigi nel contenere l'invasione dei migranti. Ora però quelle discussioni paiono superate dalla sentenza della Corte europea che a sua volta poggia su una direttiva di Bruxelles. «Se c'è un pasticcio - ribadisce un giudice al Giornale - è stato confezionato a Bruxelles, noi siamo costretti ad accodarci e non abbiano spazio di manovra». «La precedente direttiva - si legge nei decreti - consentiva l'esclusione di parti di territorio (e di categorie di persone), dichiarando quei paesi sicuri, ma tale possibilità è stata eliminata dalla direttiva attualmente in vigore» che sfoltisce drasticamente i 22 paesi sicuri. I giudici dunque rimandano il cerino a Bruxelles.

L'Anm cita l'Europa ma aggiunge che i magistrati sono «i garanti dei diritti fondamentali delle persone».

Come a sfidare Palazzo Chigi e le sue politiche. Ora i migranti tornano in Italia e l'espulsione si allontana. Il procedimento per ottenere la protezione internazionale prosegue con la procedura ordinaria e i tempi si allungano.

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