I nostri primi 50 anni: "La voce dell'Italia moderata e borghese contro i conformismi"

Dai Berlusconi agli Angelucci. "Quando Silvio disse: Papà, ho comprato il Giornale"

I nostri primi 50 anni: "La voce dell'Italia moderata e borghese contro i conformismi"
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L'emozione rompe la voce ma le parole arrivano forti. «Ho l'onore di firmare il numero del cinquantesimo compleanno del Giornale», attacca Alessandro Sallusti che vira verso l'autoironia: «È probabile che per questo Indro Montanelli e la straordinaria squadra dei fondatori si stiano rivoltando nella tomba, ma li tranquillizzo: i direttori passano, lo spirito originale vive identico nella redazione».

La festa è anche l'occasione per raccontare come è stato questo mezzo secolo e Sallusti toglie tutti dall'imbarazzo: «Siamo stati e siamo un giornale di parte, e a differenza di altri lo abbiamo da sempre dichiarato e rivendicato. Lo siamo perché profondamente convinti che il termine super partes sia tra i più grandi inganni della storia da cui stare alla larga. Diffidiamo di un uomo che si dice neutrale: sta mentendo e il più delle volte lo fa per trarne indebito vantaggio».

La filosofia del Giornale è tutta qua. Con i suoi furori, grandezze e errori, inevitabili quando si esce a precipizio tutti i giorni, le infinite stoccate al politically correct e tanto altro. Certo, nel 1974 il Giornale era un foglio di opposizione, oggi esprime una cultura di governo: «Cinquant'anni fa - riprende il direttore - a girare per le città con in mano il Giornale si rischiavano le botte, oggi i sopravvissuti di quella stagione e i loro eredi sono gli italiani che eleggono ministri e governi. Le loro istanze diventano leggi perché diventati democraticamente maggioranza in parlamento».

Questo vuol dire che quelle idee avevano le ali per volare oltre il conformismo dell'epoca. E allora è giusto ringraziare chi ha permesso questa lunga avventura: Paolo Berlusconi e oggi Antonio e Giampaolo Angelucci. «Credo - spiega Sallusti - che Paolo Berlusconi sia rimasto legato al Giornale per almeno quarant'anni».

«Ti correggo subito - replica veloce Paolo - quarantasette». Poi Berlusconi riassume in cinque minuti quella storia, cominciata nel 1977: «Un giorno mio fratello Silvio venne a casa e disse: Papà, ho comprato il Giornale. Mio padre, che tutti i giorni prendeva il Corriere della sera, la Notte e il Giornale, lo guardò con aria di rimprovero. Non sai che lo compro sempre io?. Naturalmente intendevano due cose leggermente diverse».

Quello è il secondo incipit.

«Nel panorama editoriale di allora, dominato dal Corriere e da Repubblica - va avanti Paolo Berlusconi - ha salvato quell'unica voce che rappresentava l'Italia borghese, conservatrice, moderata e liberale degli anni Settanta. Silvio, dai più considerato un parvenu nell'elitario salotto buono dell'editoria, ha così cambiato ancora una volta la storia, dando continuità al quotidiano ancora fragile di Indro».

Tanti momenti fino alla grande frattura del '94: «Quando Silvio decise di entrare in politica, il nostro direttore non lo approvò».

È il divorzio clamoroso. Montanelli se ne va e fonda la Voce. Ma con Vittorio Feltri, applaudito da tutti i presenti, il Giornale riparte e ingrana la quinta. Il resto l'hanno fatto i giornalisti e i direttori che Berlusconi ringrazia: Maurizio Belpietro, Mario Giordano, Alessandro Sallusti, Augusto Minzolini. Più Livio Caputo e Mario Cervi, omaggiati nel ricordo della prima generazione. E con loro i lettori. «I nostri veri padroni - conclude Il fratello di Silvio - come scrisse proprio Indro nel suo primo editoriale». I lettori. E le idee.

«È semplice - sottolinea ancora Sallusti - o credi in Dio o sei ateo, o sei eterosessuale o gay, c'è chi vota a sinistra, chi a destra e chi anarchico, chi tifa Milan e chi Inter. Insomma, un uomo vive delle e per le sue idee. E noi, per dirla alla Totò, delle nostre idee modestamente vivemmo».

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