I partigiani si autotassano per salvare una frase fascista

Il presidente Anpi promotore dell'iniziativa: "Facciamo tesoro del passato per progettare un futuro migliore"

I partigiani si autotassano per salvare una frase fascista

La storia va difesa. Anche quella del periodo fascista. Scontato, quasi banale. Non fosse che a dirlo è l'Anpi (Associazione nazionale partigiani italiani). Che di suo ci ha rimesso anche un po' di soldini pur di riuscire nell'intento di assicurare dignità ad un pezzo di passato finora non solo combattuto, ma confinato negli scantinati della memoria.

La svolta arriva da Recoaro. Nella cittadina veneta la sezione dell'Anpi ha scelto di sostenere, idealmente e finanziariamente, il recupero di una scritta fascista. Una delle tante che durante il Ventennio comparvero in tutta Italia sulle facciate di case e palazzi per esaltare la magnificenza del Regime e la gloria del suo condottiero, Benito Mussolini.

«Facciamo tesoro del passato per progettare un futuro migliore», spiega il presidente dell'Anpi recoarese, Claudio Fiorani, tracciando il solco della rottura con la tesi della condanna all'oblio finanche delle tracce storiche, culturali ed architettoniche del fascismo.

Un orientamento sin qui dominante: a Brescia nel 2013 fu motivo di scandalo la volontà dell'amministrazione comunale del tempo di risistemare nella sua sede originale il «Bigio» di Arturo Dazzi, un fascistissimo nudo maschile in marmo di Carrara eretto nel 1932 e rimosso dopo la Liberazione.

«Una provocazione», tuonò l'Anpi, promuovendo una petizione per bloccare un'operazione ritenuta offensiva nei riguardi dei familiari delle vittime della strage di piazza della Loggia, distante poche centinaia di metri.

Un anno fa, invece, l'ira dell'associazione nazionale dei partigiani si scaricò funesta sul ripristino dei fasci littori sulla facciata dell'ex cinema Diana, a Salerno. «Anziché cancellare un monumento da dimenticare, lo si ripropone alimentando le fantasie di gruppi neofascisti», la motivazione addotta a giustificazione del furore iconoclasta che qualche mese più tardi a Martignacco, in provincia di Udine, colpì il recupero di un affresco degli anni Venti raffigurante due atleti, uno dei quali col braccio levato nel saluto romano.

«Decisione inopportuna, ipocrita, autoritaria ed antistorica», il verdetto.

Insomma, sempre e ovunque un atteggiamento di chiusura e rimozione, ora smentito coi fatti a Recoaro. Con la rinascita della scritta di contrada Cischele, tre metri di base e altrettanti d'altezza: «Giudici dei nostri interessi, garanti del nostro avvenire siamo noi, soltanto noi, esclusivamente noi e nessun altro».

Un passaggio del discorso tenuto da Mussolini a Cagliari l'8 giugno del 1935, in occasione della partenza della Divisione Sabauda per l'Africa Orientale. «Durante la Resistenza» ricordava ieri al Giornale di Vicenza lo storico Franco Rasia, «alcuni partigiani avevano manifestato l'intenzione di danneggiare la scritta con raffiche di mitra, ma i comandanti lo vietarono per evitare ritorsioni.

Sul muro c'è però un colpo di fucile che risale al 28 aprile del 1945, sparato da un giovane partigiano». È rimasto lì, al suo posto, anche dopo l'intervento di restauro.

Voluto, sottolinea Fiorani, «nell'ottica della salvaguardia della memoria storica dei tanti fatti che hanno caratterizzato il periodo fascista, per riflettere sul passato in modo da costruire un avvenire degno. La storia dovrebbe servire a questo».

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